AIR, Love 2 (Astralwerks, 2009)

Il primo passo falso degli Air. Al sesto album il duo francese perde la bussola che lo aveva guidato in ciascuno dei dischi precedenti e dà alle stampe un disco senza una direzione precisa, con qualche sparuta canzone accettabile ma senza, soprattutto, un significante che porti da qualche parte.

Si fa presto a vendere l’anima al proprio bisogno di egocentrismo, qui il diavolo non c’entra, è una questione di autoreferenzialità senza sbocchi che non aveva mai toccato Dunckel & Godin, dapprima sempre in proficuo bilico tra la reprise di suoni trascorsi e la proverbiale sperimentazione del futuro (il che faceva media nel suono “di oggi”), ora invece in “Love 2” con una lacca da ricchi in decadenza che mette piuttosto tristezza.

Troppo pianoforte classico (mai un caldo Wurlitzer?) in “Tropical Disease” e in “So Light Is Her Footfall” (più vicina alle cose di Darkel, peraltro) con il rischio di sembrare dei Richard Clayderman qualunque, una imbarazzante scorribanda nei Cure di “Seventeen Seconds” con “Be A Bee” dove non si capisce se la canzone deve tirare verso atmosfere da film di James Bond o se verso quelle da film di fantascienza di serie Z (e sempre con quell’immancabile pianoforte classico in sottofondo…), e la più precisa rappresentazione di cosa voglia dire “mancanza di idee” in “Eat My Beat”, un pezzo che non ti rimarrebbe impresso nemmeno se te lo facessero ascoltare tutte le sere come sigla del Tg.

Ma il vero capolavoro all’incontrario è un altro, la canzone che riesce senza fatica alcuna a vincere la palma istantanea di obbrobrio dell’anno: il singolo “Sing Sang Sung”, un insulso motivetto che neanche le menti musicalmente vacue di Peter, Bjorn & John avrebbero potuto partorire, un indigesto intruglio intriso di una francesità che noi italiani aborriamo come il gol di Trezeguet all’ultimo minuto. Che poi credo che anche un inglese o un nigeriano trovi “Sing Sang Sung” terribilmente caramellosa, non si tratta nemmeno di Francia o non Francia, si tratta di essere di fronte ad una canzone fastidiosa e basta.

Troppo pochi i momenti in “Love 2” in cui ributtarsi a capofitto nei ricordi, nelle emozioni, nel mondo allo stesso tempo introverso e spaziale degli Air: “Heaven’s Light” di sicuro, ma anche “Do The Joy” e “African Velvet”, un po’ stucchevole la prima ma perfettamente aircentrica, più originale la seconda, con (finalmente!) un suono decente di batteria e un andamento low-tempo meditabondo e da mani nelle tasche. Quasi casualmente, l’inizio e la fine del cd, come se tutto il resto in mezzo non fosse mai esistito.

Quello che dispiace di più è che “Love 2” non potrà essere la colonna sonora né di un nostro nuovo amore né di un periodo di solitudine astrale, dovremo cercarci dei nuovi compagni di sensazioni e, sinceramente, non ne avevamo voglia. È proprio vero: ci vuole tanto tempo per conquistarsi la fiducia ma basta un attimo per perderla.

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