JAMES YORKSTON, The Year Of The Leopard (Domino / Self, 2006)

In molti mal digeriscono la definizione “musica inutile”, dato che tutta la musica sarebbe “inutile” per definizione. In effetti non serve per mangiare e per le altre funzioni vitali, ok, allora se vogliamo rendere vagamente il concetto possiamo usare l’aggettivo “innocuo”? Sì, così sembra anche più rispettoso. Ecco, il terzo album di Yorkston, “The Year Of The Leopard” è innocuo. Non dà nulla ma nemmeno la toglie. Un album pacifico come le acque che (non) muove, quell’indie-folk alla Devendra Banhart (che viene omaggiato fin dallo stile di copertina…) intimistico e acustico, troppo mite e placido per averne bisogno.

Non si contesta l’urgenza e lo stomaco che ci mette il nostro James, si avverte che la chitarra acustica è il miglior amico dell’artista della Domino, meglio di un Bushmills scolato davanti ad un bancone in un pub dell’Ulster. Ma proprio per questo assale una malinconia da mancanza di amici che nemmeno il secchione della classe. E poi, bisogna citare Nick Drake o avete capito lo stesso che qui ci si muove esattamente sugli stessi passi? “Summer Song” e “5 a.m” potrebbero essere opera del depresso anglo-birmano, ulteriore crocetta nella lista dei tanti (troppi) che hanno cercato di ispirarsi a Drake senza ottenere risultati palpabili. Per di più Yorkston non convince appieno nemmeno quando lascia un minimo quei sentieri, come in “Woozy With Cider”, esperimento spoken in punta di piedi con un bel loop ovattato: si apprezza la confidenza senza però che vengano toccate quelle corde che regolano le nostre emozioni.

Sorry, ma pensandoci bene il sottoscritto deve ammettere che la musica è necessaria per la propria salute mentale, perciò è più che utile. E, in questo senso, “The Year Of The Leopard” potrebbe essere inutile per l’equilibrio psicofisico di chi la pensi allo stesso modo.

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