COMETS ON FIRE, Avatar (Sub Pop / Audioglobe, 2006)

Se ha un senso parlare di psichedelia al giorno d’oggi, è anche grazie a gente come Dead Meadow, Warlocks, Brian Jonestown Massacre e, sopratutto, Ben Chasny. Sia come Comets on Fire che come Six Organs of Admittance, l’artista americano si è prodigato al culto e alla riscoperta della rarefazione, della dilatazione e della staffilata elettrica. Dai drones di “The Sun Awakens” all’elettricità saturata di “Avatar” il passo è breve. Sotto il profilo intellettuale, s’intende. I suoni sono un’altra cosa. I Comets on Fire puntano tutto sull’impatto di una psichedelia strumentale – laddove non lasci spazio a canti sciamanici o urla scomposte – di stampo hard-rock e propongono una musica dove il tema portante viene reiterato fino allo spasmo come in una catarsi kraut che idealmente si collega agli ultimi Oneida (soprattutto per alcune sfumature della sezione ritmica). Un po’ come i gruppi che citavo in apertura. Ma mentre uno la butta nel blues, un altro nei Black Sabbath e un altro ancora nei Pink Floyd barrettiani, Chasny ed Ethan Miller sventagliano un vasto bacino di influenze che gli permette di sfuggire alla citazione calligrafica. Tra richiami velvettiani, echi di Quicksilver Messenger Service e strizzate d’occhio ai Motorpsycho più “hard”, i Comets on Fire si dimostrano i migliori del lotto. I veri fuoriclasse della nuova psichedelia. Ce lo ribadiscono due anni dopo “Blue Cathedral” ed è un’esplosione di suoni che è vera gioia per le orecchie.

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