THE TWILIGHT SINGERS, Powder Burns (One Little Indian / Goodfellas, 2006)

Abbiamo perso ogni punto di riferimento. Siamo una generazione che non sa da che parte girarsi. La politica non significa più niente, il cinema non ha più il ruolo di un tempo e il rock’n’roll sembra aver smarrito sé stesso in favore di una ben più accomodante caricatura. E non parliamo dei rapporti interpersonali. Com’eravamo belli, una volta. Quando eravamo ingenui e ci appassionavamo a qualunque cosa. Quando la malizia era una negatività propria di quegli adulti che non capivamo. Non capivamo perché non si volessero bene e non facevano altro che cose cattive ed orribili. Mentre noi prendevamo ogni giornata col beneficio della scoperta. Già. Una volta era più bello. E non si stava peggio, per niente. Tutto era più semplice. Ora invece, ogni volta che andiamo al cinema ci sembra di aver già visto tutto e ogni volta che ascoltiamo un disco sembra sempre qualcosa che ci era piaciuto di più qualche anno prima. Ma non è snobismo. O meglio, non solo. E’ più una sorta di indolente apatia. Un vegetare senza senso che ci fa apparire la realtà molto meno interessante di quanto in effetti può essere. Ci siamo costruiti una corazza di pregiudizi che non viene scalfita da niente e da nessuno. Passano gli anni ma la spocchia del giovane che sa tutto resta immutata. Una volta erano i post-sessantottini, i post-tangentopoli, i post-Berlinguer. Ora cosa siamo? I post-Berlusconi? I post-11 Settembre? Non siamo un bel niente e la bussola gira a vuoto. E a volte si sente il bisogno di un punto fermo o di un conforto. E può essere un gesto da poco. Una voce amica. O una canzone giusta al momento giusto. E questa canzone è “There’s Been an Accident”. Una cosa che ti fa dimenticare tutto il resto e ti immerge totalmente in sé stessa, riempiendoti di quel calore umano che andavi cercando nei freddi e ameni corridoi dell’università. Una canzone capace di scavalcare il tuo senso critico del cazzo e non considerare nella sua interezza un disco che, ehi!, è inferiore a “Blackberry Belle”. Ma che importa? Cosa c’entra? Stiamo ancora qui ad accapigliarci sulla musica quando sarebbe molto più appagante correre incontro alla persona che amiamo e dirle tutto quello che proviamo. Quanto siamo ridicoli, a guardarci da fuori. Al minuto 3:49 della canzone vorresti morire per poi resuscitare su quella scala per le stelle costruita da quelle tonsille sparate fuori dalla bocca a velocità supersonica da un Greg Dulli mai così vicino e sensibile e toccante. Il resto è contorno. Il disco che ci si aspetta da una band di fuoriclasse che sa fare Rock come forse nessun altro. Ma è molto più importante osservare il fiume umano della città mentre “Forty Dollars” recita: “love is all you need, and all you need is love […] She loves you, yeah yeah yeah”. Quanto è vero. E quanto siamo stupidi a non vedere mai le cose veramente importanti.

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