VASHTI BUNYAN, Lookaftering (Fat Cat / Wide, 2005)

Fino a oggi, fino al momento dell’uscita di questo “Lookaftering”, l’unico viaggio musicale compiuto da Vashti Bunyan era ancorato al 1969, periodo di illusioni e sogni, di ipotesi di vita nomade agli angoli più sperduti della società occidentale; “Just Another Diamond Day” racchiudeva tutto ciò che ho elencato in un piccolo meraviglioso scrigno, reso nobile e inimitabile dalla voce della giovane autrice. Che scomparve letteralmente dalle scene subito dopo averlo pubblicato, per ripiombare tra noi trentasei anni dopo: il suo ritorno dall’oblio dei tempi era stato in qualche modo preannunciato sia nella voce prestata a “Rejoicing in the Hands” di Devendra Banhart sia nella compartecipazione – quella ben più attiva e continuata – all’ultimo EP degli Animal Collective, ma solo ora dopo l’ascolto di “Lookaftering” trova una realizzazione definitiva.

Cosa la Bunyan abbia fatto in questo buco spazio temporale che divide i suoi due lavori non è mistero per nessuno: ha vissuto con la sua famiglia, marito e figli, tenendosi ben lontana dalle luci dei riflettori ma anche dai bagliori – illusori? – della contemporaneità. Una Hippy che ha creduto realmente in ciò che si profetizzava all’epoca e non si è lasciata comprare dai vari riflussi che hanno fatto seguito all’utopia di partenza. Qualsiasi altro autore di musica avrebbe approfittato dell’assenza materiale dal mondo artistico di appartenenza per creare miti e leggende intorno al suo nome, ma Vashti se n’è bellamente fregata. Questo per chiarire a tutti la statura dell’artista e, prima ancora, della donna.

“Lookaftering” è un album splendido e spiazzante: quest’ultima aggettivazione è da tenere particolarmente di conto, visto che non parliamo certo di un lavoro teso all’avanguardia o alla ricerca di nuove ipotesi strutturali nella musica contemporanea, anzi. Tutto ciò che viene descritto qui dentro ha alle spalle un universo di riferimento talmente vasto, disperso nelle nebbie dei secoli, da lasciare annichiliti. È, ma non ci sarebbe stato neanche bisogno di dirlo, folk puro, purissimo, reso ancora più etereo e sognante dalla voce miracolosa di Vashti, cristallina e delicata, soffio cullante. La strumentazione, prettamente acustica, si adatta a delimitare con ulteriore forza i confini di questo mondo che, come la sua autrice, sembra altro rispetto a quello nel quale viviamo.

Ed è proprio per questo che arrivo a definire “Lookaftering” un lavoro spiazzante, per la sua palese inadattabilità alla contemporaneità; pretesa, questa, che sembra voler comunque smentire con forza l’idea di passatismo. Semplicemente Vashti è un’aliena per indole ed esperienza di vita e il mondo artistico prodotto ne risulta chiaramente influenzato; in realtà il suo canto, così delicato e gentile, è una sferzata dura al nostro apparato uditivo, disabituato a queste pratiche. Musica tangibile e immateriale allo stesso tempo, onirica eppure così debitrice delle radici culturali della vita campestre. Un album che serve a farci riflettere sulle possibilità di un altro mondo diverso da quello che ci stiamo costruendo addosso ben più di quanto possano fare centinaia di slogan, semplicemente perché l’esempio di Vashti Bunyan va oltre, non fermandosi al mero aspetto musicale. Che pure, nella sua semplicità e nel suo nitore, è una delle più belle “conferme” (ha senso questo termine a quasi quarant’anni dall’esordio?) di questo fine 2005.

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