BAUSTELLE, La Malavita (Warner / Atlantic, 2005)

Da anni i Baustelle vanno ripetendo la loro disponibilità a realizzare una colonna sonora per un film; visto che nessuno ha dato loro ascolto, la band di Montepulciano ha pensato di realizzare da sola qualcosa di molto simile: più che canzoni, gli undici brani de “La malavita” sono racconti messi in musica, ognuno con i propri protagonisti e il suono che più vi si adatta. Non un concept album, ma un disco corale che affronta da varie angolazioni (inquadrature?) il male di vivere: ci sono la ragazza suicida de “La guerra è finita”, il ragazzino terrorizzato dal colore blu perché gli ricorda gli infermieri aguzzini del manicomio (“Sergio”) e la dark lady, cinica macchina sessuale, di “Revolver”.

E ancora suicidi, ansie da provincia cronica, amore/odio per il grigio avvolgente di Milano, un corvo che guarda dall’alto le finte felicità borghesi, adolescenti che non possono permettersi una personalità, perfino una citazione da Montale ne “Il nulla”. E questo sarebbe un album pop? Per una major? Un prodotto da fischiettare? Sì, “La malavita” è un album pop, e decisamente bello, per di più. Le canzoni non sprofondano mai nella tristezza che sarebbe loro naturale grazie al distacco da chansonnier timido e dandy di Francesco, all’incantevole voce di Rachele (che compare poco, ma dà i brividi ogni volta) e a un suono diretto al volto, più apertamente chitarristico e rock, energico e arricchito dall’orchestra in ben sei brani.

L’inizio è a dir poco favoloso: “Cronaca nera”, con quelle tastiere e quella chitarra seventies, esce direttamente da un poliziottesco, mentre “La guerra è finita” è semplice e assassina come potevano esserlo i brani dei Blondie, molti anni fa. “Sergio”, punto più alto del disco, è disperata e potente, con un ritornello che volta alto verso un blu terrificante; “Revolver”, tra elettronica frammentata e l’orchestra, e “I provinciali”, aperta nel cuore da uno splendido assolo, concludono la prima parte del disco al meglio. Si resta senza fiato, ed è allora che l’album cala, proprio nelle canzoni a cui la band tiene di più: “Il corvo Joe” e “Un romantico a Milano” sono gli unici brani che risultano troppo gonfiati dagli archi e resi statici dalla voce. È solo un attimo, però: “Perché una ragazza di oggi può uccidersi?” e “A vita bassa” (ispirata ad un articolo di Marco Lodoli) mostrano l’incanto di due voci perfette, e il finale di “Cuori di tenebra” fa entrare la speranza, e un po’ di luce, su questi bui film in musica.

Ed è buffo, in fondo, pensare a “La malavita” come ad un disco scuro, perché è il frutto di una canzone italiana che non si vergogna più di se stessa. È pop contagioso. E luminosissimo.

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