DJ KRUSH, Zen (Columbia, 2001)

Un apolide dell’hip hop. E uno dei primi dj giapponesi a esibirsi dal vivo, con musicisti. Prima di questo, l’anno passato, era uscito “Code 4109”. Bella prova, che aveva mostrato le capacità di mixmen di Krush. “Zen” è il ritorno all’arte del djing e della produzione. Quello che non cambia è il temperamento pulito, levigato, precisissimo. Un creativo ma anche un grandissimo tecnico della consolle. Con “Zen”, poi, particolarmente dolce.
Fa effetto, confrontarsi con un artista che non parla. E che non abbia uno strumento che parli per lui. Non so, un violino, il piano, la chitarra. Quando si tratta di musica elettronica non è una situazione rara. Raro è invece trovare chi si faccia riconoscere, con la sua musica. Krush è uno di questi, tra hip hop e sensibilità orientale. Per una volta energica, fisica, davvero poco hi-tech.

Energica e pentrante. Cinque tracce strumentali, il resto grandi featuring. Una parola a parte merita “Endless Railway”. Il featuring di ?uestlove dai Roots non è al microfono, né ai piatti. Ahmir ?uestlove sfodera la sua antica arte del batterista. Se non avete mai sentito i The Roots in concerto, è un’occasione da godere ad ogni costo. Per ascoltare una ‘ferrovia senza fine’, o una tempesta senza pausa.

Il resto è vario, eterogeneo. Una ciotola di perle, più che una parure. Black Thought era tempo che non sfornava una traccia così. Mista Sinista porta lo scratch da Common a Krush. I Company Flow portano un altro po’ di rap americano, ma non c’è solo hip hop. La World music e il jazz sono rappresentati dagli Zap Mama e da N’Dea Davemport. E basta. Il resto è un po’ di Giappone e tanto Krush-style.

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