PRIMUS, “Green Naugahyde” (Prawn Song Records/Goodfellas,2011)

La scelta più responsabile per i grandi della musica è tornare, e nel caso dei Primus è stata una scelta ancora più sensazionale dato che sono riusciti a farlo dopo dodici anni di assenza, quando il pericolo di dare vita a un’operazione nostalgica per battere cassa sembrava non scongiurabile. Invece hanno fatto le cose per bene, hanno aspettato che si prosciugasse il fiume di detriti che “Antipop” aveva accumulato, che si riposasse la creatività estenuata e che si invecchiasse intelligentemente. Quando poi Les Claypool, all’inizio il più recaltritante ai richiami della sirena suscitata da Larry Lalonde, è stato certo del ritorno di Jay Lane, allora la macchina freak dei Primus si è rimessa a sbuffare.

“Green Naugahyde” rappresenta il cigolio degli ingranaggi che riprendono la marcia, subito verso una direzione artistica che richiede la partecipazione di ogni membro, la coralità delle intuizioni artistiche di tutti: per esempio di Lalonde è “Jilly’s On Smack”, la musica di “Eternal Consumption Engine” e l’arrangiamento di “HOINFODAMAN”, mentre su un giro di Lane è costruita “Eyes Of The Squirrel”. Al songwriting invece Les, che come un Bill Hicks della musica, ha trasformato l’arte dello slapping nella risata riconoscibile del sarcasmo e della provocazione contro il pensiero stitico della società sempre uguale a se stessa nell’idiozia, non ha saputo proprio rinunciare. Ma non è nemmeno di distribuzione dei ruoli che si deve parlare.

I Primus non devono dimostrare più niente, non devono né scuotere né irridere meglio di altri. Quello che avevano da dire è stato detto, ora si muovono nelle stanze del loro habitus, dell’inevitabilità di continuare a vivere facendo quello che si è sempre fatto meglio. Come maestri di arti marziali, raggiunta l’età in cui diventa impossibile volare due metri sulle teste degli avversari o spaccare mattoni con un tocco delle dita d’acciaio, i Primus passano da uno stile aggressivo, dinamico ed esplosivo, ad uno stile interno, morbido, di respirazione più che di forza, e per questa virata è necessaria la partecipazione di tutti.

La forza, come un adagio pubblicitario di qualche tempo fa, è divenuta controllo! E solo nel controllo si può far sì che le linee pirotecniche e la perfezione ritmica in passato sviluppate in senso verticale ora possano flettersi per distribuire orizzontalmente le affinità di Claypool e LaLonde, frutto di confidenze decennali che permettono anche al più semplice gesto tecnico di divenire scuola di alta improvvisazione. Lo strumming e lo slapping psicotici del nero basso sono il manto sonoro, sfondo articolato e tridimensionale, sul quale la chitarra di Larry svolge il suo ruolo “narrativo”, mentre il drumming pulito e propulsivo di Lane, che imbriglia ogni soluzione con patterns jazzy e funky di una leggerezza prodigiosa, è lo scheletro metronomico che trattiene la struttura in un mosso vibrante che resta tuttavia fermo e in equilibrio.

Il fascino delle sottili cerebralità sparse per le 13 tracce sta nel fatto che da giochi imprevedibili quali erano stati in passato si sono trasformate in lezioni musicali sospese che esigono di essere riprese e nella prassi di una sperimentazione grave e inafferrabile che non trova compimento in “Green Naugahyde” e che agisce con passo subliminale per preparare un terreno di ascolto che già da adesso unisce ascoltatori vecchi e nuovi. Un motivo per cui sospetto che, per fortuna nostra, per il prossimo lavoro dei Primus non dovremo aspettare dodici anni.

76/100

(Stefania Italiano)

14 settembre 2011

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