L’universo rarefatto degli Alvvays al Trabendo di Parigi

Alvvays – Le Trabendo, Paris – June 4, 2023

La nebbia rarefatta e avvolgente degli Alvvays sbarca a Parigi e ammalia gli oltre settecento spettatori del Trabendo. I cinque membri della band si divertono e si incalzano a vicenda riuscendo a modellare un sound denso e stratificato, una nuvola magnetica e crescente che, proprio come il fumo e i faretti che scompongono Molly Rankin e i suoi quattro soci sul palco, si muove levigata ed eterea sopra, sotto e dentro i brani e contribuisce a plasmare un modus operandi che è anche, a tutti gli effetti, un modus vivendi del quintetto, che prende corpo e coraggio anche e soprattutto grazie al charisma della sua leader.

Ad aprire lo show e a preparare il mood della sala è Katie Malco, cantautrice di Birmingham che accompagnata dalla sola chitarra elettrica propone un set di sei brani autografi dal fortissimo impatto emozionale, solidi e intensi, guidati da una voce potente e al tempo stesso fragile nei fraseggi e nel modo di esplorare le sue stesse possibilità. Si tratta di brani dall’eco lunga che riconduce con chiara evidenza a un certo cantautorato contemporaneo che porta i segni e le simbologie liriche e melodiche di Phoebe Bridgers e di Angel Olsen su tutti e che sa essere al tempo stesso poetico e diretto, graffiante e sincero come in anni recenti soltanto un certo cantautorato femminile ha saputo essere.

Gli Alvvays salgono sul palco alle 21 in punto e sono sin da subito avvolti da un fumo grigio shoegaze che è indubbiamente σφραγίς del genere stesso – o meglio dell’incrocio di generi – che il quintetto canadese esplora. Al centro del loro set – i brani dello spettacolo saranno in totale ventidue, spalmati in soli settantacinque minuti – c’è ovviamente Blue Rev, il terzo LP in studio che la band ha dato alle stampe lo scorso anno e che è risultato un enorme successo critico e commerciale, a oggi il punto più alto e il progetto più ambizioso degli Alvvays, quattordici melodie memorabili levigate da arrangiamenti originali e spesso spiazzanti che anche sul palco brillano di una luce accecante e continuano a esistere e a muoversi in una terra di mezzo tra realtà e fantasia per via della loro essenza vaporosa e fantasmatica.

I quattordici brani di Blue Rev sono non a caso tutti quanti in scaletta e rappresentano la perfetta prova di quanto gli Alvvays, all’altezza in cui si trovano nel loro percorso di maturazione artistica, sappiano essere versatili e proteiformi e quanto abilmente la straordinaria voce di Rankin sia in grado di occuparli, di plasmarli e di “innalzarli” sin dalle loro fondamenta. Al pop etereo di “Pharmacist”, che apre il set e che subito induce il pubblico a cantare e a ballare, si avvicenda immediatamente “After the Earthquake”, che strizza l’occhio a un certo pop rock psichedelico dei Novanta e Duemila e setta l’atmosfera psych-shoegaze che molte volte nel corso dello show sarà scandagliata. Sono tanti i momenti onirici e alienanti come questo, dalla perorante performance di “Dreams Tonite”, gemma tratta da Antisocialities, alla rapida ed evocativa “Fourth Figure”, cui segue, senza soluzioni di continuità e repente, l’inno generazionale che non voleva essere tale “Archie, Marry Me”, la cui semplicità e purezza l’hanno reso sin dal principio uno dei momenti imprescindibili di ogni concerto del gruppo.

C’è anche tanto rock – sempre uscito dai ‘90s, decennio di riferimento per gli Alvvays – in questa mescolanza di generi, di stili e di stati d’animo. La fulminea e veemente “Pomeranian Spinster” è forse l’episodio più elettrico e grunge della scaletta, dove in una melodia in stile Pavement si innestano distorsioni e graffi vocali che guardano al mondo dei Pixies. Enigmatica e urgente è “Pressed”, guidata da un muro asfissiante di synth e da una chitarra effettata spaventosamente titanica, mentre la altisonante “Very Online Guy” vede Rankin in ginocchio sul palco a utilizzare strumenti elettronici per distorcere la propria voce e per creare in questo modo quel passaggio sonoro da realtà virtuale che si fa poi fattuale che caratterizza il brano. Benché i brani provenienti dai primi due album suonati questa sera siano affascinanti e di qualità indubbia, come la dolcissima “Next of Kin”, primo brano dei tre totali dell’encore, eseguito dopo un breve confronto tra il pubblico e Rankin che ci chiedeva quale brano volessimo fosse eseguito, e i diamanti avant pop che sono “Adult Diversion” e “Saved by a Waif”, è evidente che la caratura dei pezzi di Blue Rev è anche maggiore: essi, infatti, sono plastica testimonianza di una determinazione e di una “coerenza sonora” da parte della band che lasciano quasi a bocca aperta.

In questo panorama di divertimento e insieme di confronto e di riflessione anche le parole degli Alvvays non sono quasi mai in secondo piano rispetto alla musica, per quanto siano spesso parzialmente – e, inutile dirlo, volutamente – coperte dalla o immerse nella barriera sonora shoegaze che il gruppo sapientemente erige. La romantica e spontanea dichiarazione di intenti di “Belinda Says”, col suo “rivoluzionario” bridge, è uno dei momenti più apprezzati e partecipati dal pubblico: «Moving to the country / Gonna have this baby / See how it goes / See how it grows», canta Rankin con trasporto e commozione. L’esplosione del chorus finale e dell’outro del brano diventano manifestazione delle speranze più gelosamente nascoste di ognuno, così come l’andamento elegiaco della meravigliosa “Tom Verlaine”, col suo ritmo incantevole e con le sue sfumature blu elettrico, diventa un momento di sollievo dalle tristezze quotidiane: «Looking back, I should have known / All the nights that I spent in outer space / Cigarettes and old regrets piled in a stack / Out in the back of my brain», proferisce, illuminata da un raggio di luce disorientante, Rankin, protetta e spinta dal resto del gruppo in un amalgama di segni e di riflessi. Particolarmente movimentata è “Bored in Bristol”, con il suo insistente e trascinante refrain che attorciglia e quasi soffoca: «Always waiting / Always waiting / Artificial light cascading», canta Rankin leggerissima, accompagnata dai cori soffusi e riverberati dei suoi soci. Impetuose e torrenziali nella loro brevitas sono “Many Mirrors” ed “Easy on Your Own”, così pungenti e concise da non lasciare al pubblico un momento di respiro. La conclusione dello show è affidata alle diafane e lunari “Velveteen” e “Lottery Noise”, che rappresentano un altro dei volti di quel prisma multicolore e imprevedibile che è la musica degli Alvvays.

(Live report, foto e video di Samuele Conficoni)