“Gianni Sassi. La Cramps & altri racconti”

Giordano Casiraghi – Gianni Sassi. La Cramps & altri racconti, Arcana, Roma, 2022

Art director e grafico straordinario, inquieto dadaista e lavoratore instancabile, Gianni Sassi (Varese, 1938 – Milano, 1993) è stato molte cose nella cultura italiana del secondo Novecento.

Non vi è ambito in cui il suo genio non abbia lasciato un segno, a sugello di una visione dell’arte intesa come pratica d’avanguardia e azione politica, in un mondo della comunicazione non ancora vincolato e conformista come quello attuale, ma ancora disposto all’irriverenza, alla libera e incostante rappresentazione della realtà.  

È a Milano che Sassi compie per intero la sua carriera, dove si dedicherà a molteplici imprese, dal mondo della pubblicità a quello discografico e musicale, infine animando festival e iniziative editoriali ben presenti nel dibattito degli anni del cosiddetto “riflusso”, successivi alla contestazione giovanile dei Settanta.

A testimonianza dell’attualità e della rilevanza della sua figura, a trent’anni esatti dalla scomparsa, proprio nel capoluogo lombardo, in zona City Life, è stata recentemente inaugurata la “passeggiata Gianni Sassi”, così come il 6 aprile scorso, al Lirico, si è tenuto un concerto in suo onore dedicato alla Cramps, leggendaria casa discografica da lui ideata.

Cerimonie e riconoscimenti, dunque, di una figura di cui ancora si sa pochissimo.

Oltre alle iniziative già citate (a cui seguiranno una mostra alla fabbrica del Vapore e l’uscita, prevista per l’autunno prossimo, di un documentario curato da Roberto Manfredi e Stefano Piantini), è uscito di recente il volume di Giordano Casiraghi, “Gianni Sassi, La Cramps & altri racconti”: affresco di un’epoca irripetibile, raccontata da chi ha conosciuto Sassi e lo ha frequentato: amici, collaboratori, artisti e fotografi che in un qualche modo ne hanno incrociato il genio, l’intraprendenza, il carattere spigoloso, taciturno il più delle volte, ma generoso al fondo.

Come nel precedente “Cose dell’altro suono”, gli incontri, le interviste e la testimonianza diretta dei protagonisti sono “il carattere distintivo” del libro, all’interno del quale convivono il saggio di critica musicale come l’autobiografia intellettuale dell’autore, lo studio sociologico e la storia culturale dell’Italia del tempo.

Sassi fondò l’agenzia Al.Sa. nel 1963, dopo aver animato il primo circolo culturale intitolato a Giaime Pintor, con annessa la tipografia Arti Grafiche La Monzese (che si occuperà di stampare i primissimi numeri della mitica rivista Re Nudo, fondata e diretta da Andrea Valcarenghi), insieme al sodale Sergio Albergoni: la complicità intellettuale tra i due, oltreché una profonda amicizia, fu la vera forza di questo rapporto. “Abitavano nello stesso quartiere, nella periferia sud-est di Milano, e quando si incontrano capiscono di avere ciascuno qualcosa che manca all’altro. È così che Sassi avrà campo libero come art director e Albergoni completerà il tandem con la parte di copywriter. Sassi allestisce il campo fotografico, crea l’azione, e Albergoni la conclude aggiungendo la frase, che arrivava come un lampo, definitiva, quella che andrà sui manifesti e nelle pagine pubblicitarie.

Pur lontani dai grandi budget i due lavorarono per diverse aziende come Politoys, Iris (celebre la “performance” di stampo ecologista imbastita proprio con la ditta di ceramiche), Mapei, Bburago e molte altre, caratterizzandosi per uno stile innovativo, inedito per il periodo: il focus principale era l’oggetto ma, accanto a questo, si inseriva un dettaglio, un elemento anche disturbante se necessario, che restituiva all’immagine un tratto di unicità.

Geniale, in questo senso, fu la campagna pubblicitaria che vedeva protagonista un giovanissimo, e irriconoscibile, Franco Battiato, il quale aveva iniziato a gravitare nell’orbita dell’agenzia Al.Sa. grazie all’intercessione di Mino Martino de I Giganti.

Lo stesso Albergoni, in un’intervista ripresa per intero, racconta così la genesi di quel servizio fotografico:

“[…] C’era tutto per creare qualcosa di veramente originale: il divano Hidalgo della Busnelli, il più venduto, una latta di ducotone con qualche pennello, Sassi con l’impagabile sguardo di chi sa che nessuno lo fermerà, un paio di amici fotografi. Giusto il tempo di scendere per un caffè, risalendo ho trovato Battiato truccato da manichino in cartongesso. Sassi scompariva e riappariva dal suo ufficio. Un attimo dopo Battiato era travestito da zio Sam con indosso un paio di pantaloni a stelle e strisce, occhiali da sole abbondanti, stivaloni in pelle al ginocchio, il ducotone che incominciava a screpolarsi, gli amici fotografi presi da incontenibile frenesia e Sassi che iniziava a fare sul serio. Da quel momento il mio ufficio è diventato un set fotografico e tutto prese ad assomigliare a una normale frenetica giornata di lavoro. Ne uscì un curioso servizio fotografico. Si era prossimi alla Fiera Internazionale del Mobile di Colonia e ci venne l’idea di utilizzarlo come manifesto per comunicare la partecipazione di Busnelli, l’azienda che rappresentavamo come comunicazione e immagine.

Dagli inizi degli anni Settanta, complice l’espansione del mercato musicale, al centro del lavoro di Sassi vi fu la produzione discografica (è di poco precedente il suo coinvolgimento nella realizzazione delle copertine di Fetus Pollution del già citato Battiato), di cui egli intuì il potenziale creativo e l’impatto sul pubblico, specie quello giovanile.

Un nome che deriva da un acronimo così composto: C = company, R = record, A= advertising, M = management, P= pubblicità, S = service. L’intenzione è quella di occuparsi di un artista curandolo in tutti i dettagli, dall’immagine alla produzione dei dischi, dalla promozione dei dischi ai concerti. In Italia non l’ha fatto nessuno. Nel costruire l’immagine degli artisti e delle copertine il binomio Sassi e Albergoni ci prende gusto al punto che un passaggio deciso al mondo della musica diventa naturale.

L’etichetta Cramps divenne in breve tempo un punto di riferimento imprescindibile nel campo della musica pop e contemporanea: Arti & Mestieri, Eugenio Finardi, Skiantos, John Cage, furono in molti a essere seguiti dalla “Factory” di Sassi, ma è con gli Area che il sodalizio si fece particolarmente stimolante.

La band guidata da Demetrio Stratos, non solo cantante ma vero e proprio sperimentatore vocale, realizzò quello che è ormai considerato il “testamento del pop italiano degli anni Settanta”, e ciò a ragione, considerata l’assoluta novità espressiva della proposta musicale.

Uscito nel 1973, il titolo era tutto un programma, “Arbeit Macht Frei”, e la copertina una delle più iconiche mai realizzate da Sassi: l’immagine raffigurava un omino di legno imprigionato, con tanto di lucchetto, da una cintura di castità nella parte inferiore al bacino, e intento, con la chiave nella mano destra, a liberarsi, senza riuscirvi a causa della rigidità del braccio.   

Lampi jazz, canzone di protesta, influssi balcanici, l’album era un concentrato ribollente che liberò tutto il potenziale del progressive nostrano proiettandolo verso l’apice della sua creatività.

Il culmine della popolarità del gruppo coincise con la partecipazione il 29 giugno del 1976 al Festival del Parco Lambro, grande raduno generazionale organizzato da Re Nudo, sorta di Woodstock in minore nel cuore di Milano, in compagnia di artisti del calibro di Finardi, Don Cherry, Napoli Centrale, Claudio Rocchi, Alberto Camerini e molti altri, di fatto climax ed epitaffio di una generazione che proprio nella musica aveva intravisto il propellente rivoluzionario buono per la “lotta proletaria”.

La morte del suo leader, la triste scomparsa di un grande interprete qual era Stratos, avvenuta nell’aprile del 1979 a soli 34 anni per una violenta forma di anemia aplastica, segnò idealmente la fine di un’epoca e, per quanto riguarda Sassi, una più generale perdita d’interesse per la musica.

Le esperienze del decennio successivo interessarono l’editoria, con le riviste La Gola e Alfabeta (realizzata insieme a Nanni Balestrini, Umberto Eco, Pier Aldo Rovatti, Antonio Porta e molti altri) e le arti, con la creazione del festival internazionale Milano Poesia, dedicato a musica, video, performance, danza e teatro.

Attività anch’esse seminali per percorsi che videro la luce anni dopo, come l’associazione Slow Food fondata da Carlo Petrini, legato a doppio filo a Sassi e alla rivista già citata La Gola, grande laboratorio di idee in cui cibo, ambiente e cultura dialogavano alla pari.

Su questa “seconda vita” professionale si potrebbe scrivere molto, e non è detto che non lo si faccia in futuro, ma per congedarci proviamo a rispondere alla domanda più semplice: chi è stato Gianni Sassi?

È un’immagine, forse, la chiave: la serigrafia con il faccione di Frankenstein dal film di James Whale, affisa alla reception dell’agenzia Al.Sa., in cui il mostro aiuta la bambina a raccogliere margherite bianche.

Collaboratore nelle attività editoriali, Gino Di Maggio ha lavorato a lungo con Sassi e le sue parole ci sembrano il modo migliore per comprenderne la natura caratteriale:

Credo che Gianni in qualche modo si identificasse in questa figura letteraria (quella di Frankenstein), che per le sue movenze meccaniche, per la forza che esprimeva, incuteva timore e nello stesso tempo suscitava tenerezza”.

Un uomo alla ricerca di sé stesso, che assomiglia molto a quell’omino di legno raffigurato sulla copertina di “Arbeit Macht frei”, e che non ha fatto altro che cercare la chiave per quel lucchetto.

Ecco chi era Gianni Sassi. 

(Alberto Scuderi)

Questo articolo appare anche su Astermagazine, per reciproca volontà degli autori ed editori.