Alexander Skorobogatov, The 9th Life. La nona vita

The 9th life potrebbe rimandare al titolo di una pellicola cinematografica del genere Action, in cui il protagonista riesce a sopravvivere a numerose peripezie. In realtà questa frase ha radici ben più profonde e per capirne il significato bisogna viaggiare nel tempo e partire dalle origini, dall’antico Egitto.
Essa si riferisce al gatto che era considerato in questa civiltà un simbolo di fertilità e maternità, sacro al Sole e a Osiride, mentre la gatta, alla Luna e a Iside. Non a caso gli egizi veneravano Bastet, divinità con la testa di gatta e corpo di umano. L’idea che i felini abbiano molteplici esistenze parte dal fatto che Bastet abbia avuto anche un aspetto terreno: durante la sua vita umana è rinata 9 volte.

Una leggenda simile si trova nella mitologia greca. Questo popolo venerava Diana (Selene), dea della Luna che assunse le sembianze di un gatto nero. Gli egizi e i greci credevano nella superstizione, secondo cui ogni gatto ha 9 vite.

L’anno lunare del calendario corrispondeva al tempo in cui il corpo celeste sorgeva (nasceva) e tramontava (moriva) per 9 volte.

Un antico mito indù racconta che un gatto anziano dotato di talento matematico e allo stesso tempo pigro, si trovava in uno stato di semi-sonnolenza all’ingresso del tempio. Interpellato da Shiva sulle sue capacità di contare, enunciò i numeri in ordine progressivo: arrivato a 9 si addormentò e la divinità decise di attribuirgli 9 vite.

Nel Medioevo il numero 9 era conosciuto come il simbolo di un ciclo completo; la credenza popolare diffusa era che le streghe potessero trasformarsi in gatti, ma solo 9 volte durante la loro vita. Proprio in questo periodo vi fu il passaggio da 9 vite a 7. A quell’epoca la diffusione della cultura di massa era nelle parole di cantastorie, poeti, cantanti e di menestrelli.

La gente comune era appassionata di racconti con protagonisti personaggi famosi o potenti dell’epoca rappresentati però con sembianze di animali.

La novella più popolare di quei secoli era il ciclo letterario di favole allegoriche chiamato Reineke la volpe; tra i personaggi antropomorfi c’era anche Tybalt, il gatto che aveva il titolo di re. Non era un buon governante a causa del suo pessimo carattere, ma non se ne preoccupava, perché era l’unico ad avere 7 vite.

Su questa e altre infinite credenze, storie e leggende è incentrata la creatività e la proficua produzione artistica del russo Alexander Skorobogatov (1983, Nadym, RU; vive e lavora a Berlino).

Una ricerca iniziata qualche anno fa, ma maturata negli ultimi 10 mesi durante la residenza d’artista vissuta a Firenze come vincitore del Premio Villa Romanail più antico premio tedesco dedicato all’arte.

immagine per Alexander Skorobogatov - The 9th Life. La nona vita
Alexander Skorobogatov, portrait
Alexander Skorobogatov, the escape from Typhon 2022 paper_60x80
Alexander Skorobogatov, the 9th life of a cat is a woman 2022 paper_200x150
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Alexander Skorobogatov, the 9th life of a cat is a woman 2022 paper_200x150
Alexander Skorobogatov, Miau 2022 paper_80x60
Alexander Skorobogatov, Luna 2022 paper_80x60
Alexander Skorobogatov, Li Shou 2022 paper_80x60
Alexander Skorobogatov, Freya 2022 paper_60x80
Alexander Skorobogatov, Bastet 2022 paper_60x80
Alexander Skorobogatov, Artemis 2022 paper_200x150
immagine per Alexander Skorobogatov - The 9th Life. La nona vita
Alexander Skorobogatov, (the 9) Muses 2022 paper_80x60

Egli ha approfondito gli studi su miti, leggende e aneddoti incentrati sulla relazione tra la figura del gatto e la donna, tra la vita, le vite e la connessione, anche caratteriale, che esiste da sempre tra l’animale e l’universo femminile.

Un esempio concreto di tale riflessione è visibile nella mostra personale dal titolo The 9th life (la nona vita), allestita nelle sale della Luigi Solito Galleria Contemporanea, ubicata nella zona dell’ex Lanificio, in piazza Enrico De Nicola 46, a Napoli, fino al 16 febbraio 2023.

Skorobogatov, trasferitosi in Germania negli anni ’90, ha studiato alla Kunsthochschule Mainz, all‘Università delle Arti di Berlino e al Central Saint Martins College di Londra. Nei suoi disegni, dipinti e sculture giocano motivi apparentemente naif, colori esplosivi e allestimenti straordinariamente bizzarri. Le sue opere hanno titoli ironici che si basano su pensieri filosofici.

Durante il suo soggiorno a Firenze ha approfondito le tecniche dei maestri operai e artigiani, nello specifico dei cartai, perfezionando un nuovo metodo di produzione che gli ha permesso di creare la sua carta; tra mortai e pestelli, presse, palette di colori e telai, ha miscelato impasti di cellulosa fino a ottenere la materia prima per il suo nuovo lavoro.

Unisce carta, pittura, scultura e disegno in una trama simile ad un arazzo, ma con colori, storie e forme che ci parlano di un nuovo linguaggio contemporaneo, che parte dalle storie medievali per giungere fino a questi lavori inediti.

Ad accogliere i visitatori negli spazi della galleria è l’opera intitolata Freya, divinità della mitologia norrena, la dèa dell’amore, della bellezza, dell’oro, della fertilità, della guerra, della morte e delle virtù profetiche.

Il dipinto è caratterizzato dalla trama di una fitta vegetazione che funge da cornice e da Freya collocata al centro, lontana dall’iconografia romantica del passato visibile nella tela del pittore svedese Nils Blommér (1816-1853).

Ritratta di spalle, posa ammiccante, glutei e slip in primo piano, è una donna contemporanea che per impostazione figurativa rimanda alle campagne pubblicitarie di moda e di intimo incentrate sul tema della sensualità, della femminilità e della personalità. L’atmosfera erotica ed esotica è accentuata dalla presenza di due gatti che lambiscono il corpo di Freya, restituendo una immagine ironica e ludica.

In The escape from Typhon, sono i gatti ad emergere in primo piano rispetto alla figura femminile collocata sullo sfondo in posizione felina.

Antropomorfizzati e psichedelici, camminano eretti, hanno gli occhi spalancati ed una espressione sardonica, rievocano visivamente i gatti di Louis Wein (1860-1939), illustratore attivo alla fine dell’Ottocento nel campo della stampa, artefice di numerose pubblicazioni su diverse riviste.

Skorobogatov non è interessato ad una rappresentazione reale di qualcosa di caro e confortante come la presenza di questi animali nell’ambiente domestico: la sua attenzione verte sulla loro funzione in chiave mitologica e misteriosa che proietta l’osservatore verso mondi astrusi e surreali.

Essi sono l’immagine vivida e rassicurante di un mondo idilliaco elaborato dalla mente umana, incarnato da attori animali che ricoprendo le funzioni narrative tipiche dell’immaginario dell’artista, restituiscono una forte carica emotiva.

L’opera intitolata Bastet, presenta una reinterpretazione in chiave contemporanea della divinità egizia. Leggendaria ed enigmatica, si presenta al pubblico nelle sembianze di una donna distesa nella natura selvaggia, su cui corpo sono tatuati una serie di gatti.

E’ una composizione in cui emergono connessioni magiche e spirituali imbevute di significati. La posizione distesa e l’organo genitale in vista rimandano al dipinto L’origine du monde di Gustave Courbet (1819-1877), da cui riprende la funzione simbolica che allude al tema della riproduzione, della fecondità e della celebrazione della vita.

Nel dipinto Muses, la presenza femminile è completamente eliminata, ma percepita, a favore di una narrazione incentrata prettamente sul gatto. 9 gatti, come le vite, campeggiano sulla superficie in atteggiamenti diversi, seguendo il loro istinto e la loro natura.

Evocano per impostazione figurativa nello spazio la celeberrima stampa neko-e dell’incisore giapponese Kuniyoshi Utagawa (1797-1861), una parodia delle 53 stazioni del Tokaido. Da acuto osservatore del mondo felino, Skorobogatov li ritrae nelle loro pose tipiche: in tensione, di stasi, di slancio, di felicità, di incredulità e di smarrimento.

Avvicinandosi al trittico collocato in fondo alla sala, i tre dipinti affissi sulle tre pareti bianche della galleria dialogano fra di loro. Al centro, l’opera dal titolo Artemis è la trasposizione romana della dea egiziana Bastet.

Immersa completamente nella natura e distesa sul prato, Artemide è raffigurata in una atmosfera rilassata. Questa visione amena e lussureggiante è infranta dalla presenza di un gatto latente.

Osservando attentamente, dalla folta chioma della protagonista emerge una figura felina stlizzata, raffigurata in agitazione fisica ed emotiva.

Skorobogatov realizza una immagine antropomorfa, in cui il gatto esercita attraverso la mimetizzazione una duplice funzione: difendere sé stesso come animale, ma anche l’identità della figura femminile. Se da una parte il binomio capigliatura/animale evoca lo Scudo con testa di Medusa tempestato di serpenti, di Michelangelo Merisi (1571-1610), detto il Caravaggio, da un punto di vista compositivo, la posizione della donna ricorda due capolavori nella storia dell’arte: il Nudo sopra Vitebsk di Marc Chagall (1887-1985) da cui riprende il tema della tenerezza, con la fanciulla resa eterea nella parte alta del dipinto e, dall’altro, Donna nuda con scacchiera di Man Ray (1890-1976), le forme del corpo come fonte di seduzione.

Le altre due opere che si fronteggiano sono le due versioni di The 9th life of a cat is a woman, caratterizzate dalla stessa tematica, ma con approcci stilistici differenti.

Nella prima versione, di caratura espressionista, una moderna Venere (sono evidenti le influenze e il soggiorno della città di Firenze sull’artista) si staglia al centro del dipinto ed è circondata da gatti volanti. Si assiste ad un processo di sottrazione dove i felini occupano lo spazio in primo piano rubando la scena alla divinità che è in lontananza. La stesura del colore e la mancanza di linee ben definite dei vari soggetti rimandano ai famosi décollage in stile Pop Art dell’artista Mimmo Rotella (1918-2006).

Nella seconda, invece, la Venere conquista lo spazio rispetto agli animali. E’ una rappresentazione nitida, in cui le immagini semplici ed elementari sono caratterizzate nei loro contorni da colori sgargianti, con gli animali e la donna che animano lo spazio, a volte linearmente e a volte mescolandosi caoticamente.

Presenta delle similitudini con le opere di Bob Thompson (1937-1966), per i colori piatti, audaci e non modulati che rendono questo scenario una superficie densa e dinamica. Skorobogatov sradica il preciso dettaglio rappresentativo e l’ordine compositivo creando uno spazio compresso che richiama l’attenzione sul piano dell’immagine. Le forme e le sagome appiattite creano un’atmosfera onirica che rende indistinti luogo e tempo.

Un antico proverbio dice: “Un gatto ha nove vite. Per tre gioca, per tre si smarrisce e per le ultime tre resta”. Quelli di Skorobogatov restano e resteranno, a beneficio della collettività.

Info mostra Alexander Skorobogatov | The 9th Life

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