BLACK COUNTRY, NEW ROAD, “Ants From Up There” (Ninja Tune, 2022)

“Sarebbe bello se potessimo diventare famosi fin dove è concesso a una band come la nostra di diventare famosa. I nuovi Arcade Fire, questo è il nostro obiettivo, praticamente” – con queste parole l’ex frontman e chitarrista dei Black Country, New Road Isaac Wood descriveva in un’intervista del 2019 cosa avremmo dovuto aspettarci dal complesso di Cambridge nei prossimi anni. Un disco di esordio posticipato più volte e una dolorosa dipartita dopo, direi che ci siamo. “Ants From Up There” ha tutti gli ingredienti per essere un disco che segna un punto di rottura nella storia di un gruppo, ma in qualche modo riesce a essere “più della somma della sue parti” e a suturare la ferita aperta.

Il distacco da “For The First Time” (2021) è netto: questo è un disco vibrante sì, ma curato nei minimi dettagli, che segue volutamente una struttura circolare. Il tema musicale portante dell’album, la quasi-suite-prog da 12 minuti “Basketball Shoes”, è accennata dal sassofono di Lewis Evans per poi sfociare in uno nei brani più propriamente pop dei Black Country, New Road: “Chaos Space Marine”. Il tocco klemzer non è stato cestinato, ma viene ora accompagnato da sonorità chamber-rock, jazz, sviluppando ulteriormente la vena post-rock che era presente in alcune tracce dell’esordio (penso alla bellissima “Track X”). Anche nel liricismo, il citazionismo gen z che tanto contraddistingueva i testi lascia spazio a riflessioni più profonde ed ermetiche, a un potente immaginario di nostalgica infanzia, ma non viene mai abbandonato del tutto. “She had Billie Eilish style / moving to Berlin for a while” in “Good Will Hunting” è una frase tanto banale quanto squisitamente ironica, seconda forse solo alle ponderazioni riguardo alle briciole di un toast fra le lenzuola del letto in “Bread Song”. Dalla prosa di un qualsiasi artista hip-hop un po’ troppo irriverente, Isaac Wood sembra essersi trasformato in una sorta di versione secolarizzata di Leonard Cohen, abbracciando la ricorrenza di alcuni termini dal sapore tutto enigmatico come la dietrologia che si nasconde nella metafora dell’aereo di costruzione anglo-francese Concorde, ritirato a causa di un incidente nel 2003 dopo oltre 30 anni di volo, protagonista della copertina dell’album.

È una dinamica peculiare, ma funziona. Anche i brani di chiara matrice improv come “Haldern” (sorto da una jam session di 12 minuti nel mezzo durante una live streaming, schiacciata in scaletta fra qualche singolo e una cover di “Say It Ain’t So” degli Weezer) e “Bread Song” si incastrano perfettamente all’interno del disco e vanno oltre l’unione ricercata solo nella produzione (qui netta e cristallina, a cura di Sergio Maschetzko, già collaboratore degli IDLES) del primo lavoro. “Ants From Up There” ha una coerenza tematica che poggia sulle strutture melodiche crescenti, sull’iterazione della nota, su un’emotività che solo un ensemble d’orchestra sa conferire, su un sound rock che non ha nulla da invidiare al “Funeral” dei sopracitati Arcade Fire – “epic sad”, l’hanno chiamato loro.

A chiudere l’album è la pantagruelica “Basketball Shoes” che, a questo punto, mi prendo la libertà di definire come il vero testamento cantautoriale di Isaac Wood. Scritta ispirandosi a un sogno erotico su Charli XCX (), “Basketball Shoes” è circolata tramite versioni live su Youtube negli ultimi tre anni, diventando presto una fan favourite. È l’asse portante del disco, intrisa di motif diversi, tensioni, per poi culminare in un grandioso crescendo corale.

“Ants From Up There” è un ulteriore passo avanti per i Black Country, New Road, un ottimo primo tentativo a una strutturazione sonora coesa, anche se manca della dinamicità e precisione pop dell’esordio.

(Viviana D’Alessandro)

76/100