[aapoc] D Editore per un dibattito sui cambiamenti del nostro mondo: l’intervista

D Editore è un progetto culturale che vuole entrare nel dibattito sui cambiamenti del nostro mondo.”

Così, con tale affermazione, si presenta questa casa editrice indipendente, nata dall’intento portante di creare una classe di lettori curiosi, aperti all’innovazione e alle eterogenee questioni legate al mutamento in nuce o in atto nel contemporaneo, analizzando tutto in maniera poco manistream; il desiderio di editare in Italia degli argomenti dei libri che non erano ancora riusciti ad uscire fuori dal proprio paese ha fatto il resto, a cui si aggiunge una condivisa attenzione specifica alla transarchitettura e al transumanesimo, alle atmosfere situazioniste e anarchiche, alle tematiche di genere e lgbtqia.

D Editore sembrerebbe cercare, anche, di dar vita a una comunità consapevole e… in presenza: nel 2020 ha aperto, nello storico quartiere romano di San Lorenzo, Zona D, redazione e anche luogo per presentazioni, seminari, mostre, dove poter fisicamente stare in contatto con il territorio, dove incontrare lettori e autori e un pubblico interessato a confrontarsi con i concetti affrontati nelle pubblicazioni presenti e future.

La scelta della locazione è stata determinata anche dalla storia del quartiere: di resistenza, impegnato politicamente, con una vocazione controculturale e antagonista, oltre che pieno di studi di artisti e di studenti e dove, insomma, si percepisce la presenza di una comunità, seppure non sempre organizzata…

A scanso di… opacità, dichiariamo che siamo di parte perché D Editore l’abbiamo vista nascere e perché Emmanuele Pilia, uno dei fondatori, ha scritto per noi; nel 2010, lui si occupava di critica, specialmente nel campo dell’architettura ma non solo; Massimiliano Ercolani lavorava nel campo dell’Architettura e della Grafica; Emidio Battipaglia praticava il linguaggio fotografico. Queste loro attività, accanto a quella nuova, editoriale.

Tre amici, le cui attività originarie, almeno per quasi tutti loro, proseguono, che avevano un sogno comune, che dopo poco si concretizzerà in un progetto che, nel nome, si ispira a… Suor Virginia Maria, la Monaca di Monza, ovvero Marianna de Leyva (Milano, 1575-1650).

Protagonista di un famoso scandalo che sconvolse Monza agli inizi del XVII secolo, è raccontata fantasiosamente ne I Promessi Sposi del Manzoni e fu pioniera, suo malgrado, di una ribellione contro la negazione dei diritti delle donne e dell’autodeterminazione.

Anche da questa iniziale scelta della casa editrice si comprende quale sia la sua sensibilità e la politica, a cui si aggiunge una certa, scaltra  capacità a far di necessità virtù; infatti, il primo progetto, del 2013 – la pubblicazione italiana (a cura di M. Ercolani) di War and Architecture (Guerra e Architettura), di Lebbeus Woods, un cult tra gli architetti interessati ai temi dell’utopia e ai visionari di ogni ordine e grado –, si concretizza con la partecipazione ai costi di realizzazione da parte dei lettori, ovvero grazie al crowdfunding, in quegli anni alquanto nuova da noi; l’esperimento è ripetuto, anche per il successivo La fine dell’invecchiamento, tra i maggiori successi di vendita di D Editore.

Tra le ultime fatiche, di grande rilevanza, La felice e violenta vita di Maribel ZigaQueerfobia e la recentissima popolarità grazie al prestigioso catalogo del Padiglione Italia, Comunità Resilienti, della Mostra internazionale di Architettura di Venezia 2021 (fino al 21 novembre 2021).

Del trio, incontriamo Emmanuele Pilia e Massimiliano Ercolani per raccontare non solo del loro progetto e del futuro della piccola casa editrice ma anche di una visione di Futuro e di argomenti che ci riguardano particolarmente, oltre a quello sull’Architettura e la Biennale… Ma partiamo proprio da questa:

Voi avete iniziato nell’ambito dell’Architettura, il primo libro editato è di architettura,e  ora avete realizzato “il” catalogo di Architettura, ovvero quello del Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Ebbene: è un po’ un… ritorno alle… origini, a casa??

E. P. e M. E. – Ma sì, la nostra storia nasce da lì, e più precisamente dalla città e dalle comunità che la abitano e la vivono, perché è proprio la città che contiene tutto, pertanto l’abbiamo sempre analizzata multidisciplinarmente; insomma: secondo noi, non ci siamo mai allontanati da quel nostro primo interesse. Certo è che adesso ci siamo entrati disciplinarmente, più ufficialmente, e ne siamo felicissimi…

Vi siete sempre interessati di temi scomodi, dissidenti, resistenziali, tra i quali le questioni di genere in un momento storico come l’attuale, di profonde disuguaglianze e recrudescenza sessista e razzista, che quindi necessita di educazione, di riforme e cambiamenti in questo senso… L’avvertite la responsabilità del vostro ruolo di indipendenti grazia ai quali si possono conoscere e analizzare tali argomenti

M. E. – Per noi sono pesi inesistenti, perché sentiamo questi temi affini alla nostra sensibilità personale oltre che editoriale… Pensiamo che ognuno, proprio oggi, debba e possa fare la differenza e in questo noi facciamo del nostro meglio…

E. P. – Per noi non è tochenismo*: in redazione abbiamo persone uomini, persone donne, persone queer liberamente miscelate, e non è una scelta fighetta o calcolata, alla… politicamente corretto: è, semplicemente, il nostro modo di essere nella realtà e quello più efficace di vederla e raccontarla in tutte le sue sfaccettature. È una questione di punti di vista: insieme, da diverse angolazioni – intendo da prospettive da ognuno personalmente vissute –, possiamo percepirle tutte.

Quanti siete in redazione?

E. P. e M. E. – siamo dodici, ma vanno aggiunti anche tutti quelli che collaborano con noi a vario titolo, e gli autori, quindi siamo molti; e questa diversità è una ricchezza che ci permette di interpretare al meglio, e senza preconcetti, la realtà che è l’oggetto del nostro fare e dei nostri libri, che mirano ad interpretarla nelle sue tante sfaccettature…

… interpretarla e un po’ contribuire a cambiarla…

E. P. e M. E. – Ottima aggiunta, questa. Diciamo che diamo per assodato che, pur rendendoci conto che è un’ambizione quasi ingenua quella di voler cambiare la realtà, il fatto, però, di analizzarne e proporne, con i nostri testi, prospettive meno conosciute, o conosciute in modo parziale o non preciso, può contribuire a una modificazione dell’informazione e della conoscenza su alcuni suoi aspetti, e quindi del pensiero e della sensibilità nel loro confronti…

… e questo è un agire socio-politico: ne siete consapevoli?

E. P. – Beh, sì, ogni scelta presuppone una spinta di questo tipo, a maggior ragione se è pubblica e se… pubblica (nel senso che edita).

Svela una propensione simile anche la scelta della ridistribuzione dell’economia interna alla D Editore: o sbaglio?

E. P. – Non sbagli. Noi siamo sia Casa editrice sia Media Company**. Questo aspetto lo gestiamo ridistribuendo il guadagno di un determinato progetto prodotto con tutti quelli che ci hanno lavorato. Come Casa editrice, il percorso è prefissato: ognuno che ci lavora sceglie un compenso e un percorso di pagamento, ovviamente in modo proporzionato con le possibilità di budget della Casa Editrice. In questo modo siamo tutti responsabilizzati e partecipi del progetto.

Se tutto andrà bene, se cresceremo ancora, nel 2022 prevediamo nuove assunzioni ma tutto sarà portato avanti in questo modo, che ci sembra corretto e più partecipato…

…partecipato come il crowdfunding, metodo di finanziamento che per voi ha funzionato bene permettendovi di editare alcuni libri importanti: continuerete ad utilizzare questa opportunità?

E. P. e M. E. – La usiamo meno ma è sempre contemplata perché è efficace: a noi, ad esempio, ha permesso e può permettere di abbattere le spese iniziali di un libro, cha ha costi non leggerissimi…; e di fare progetti un po’ più avventurosi e ambiziosi…

Ottima scelta. Con le vostre pubblicazioni avete trattato molti temi diversi ma noto che tra questi non ci sono le arti visive, che mi sembrano un ambito molto affine a quello che può interessare voi e i vostri lettori… Come mai questa mancanza?

E. P. e M. E. – Hai ragione, in effetti non siamo ancora entrati in specifici approfondimenti in questo ambito; anche in questo caso, vanno costruite sinergie e messe a fuoco le tipologie delle trattazioni connesse a una disciplina e a un linguaggio come quello dell’Arte… Ma ci stiamo attrezzando…

Avete iniziato con l’architettura e con carattere controverso e in qualche misura siete – abbiamo detto – tornati a casa: da Lebbeus Woods – che teorizzava, pur da architetto, la città imperfetta, l’incompleto, la dignità delle rovine, e che aveva idee e progetti architettonicamente visionari, enigmatici – al catalogo Comunità Resilienti, di un  Padiglione Italia della Mostra internazionale di Architettura di Venezia 2021, curato da Alessandro Melis, da una parte celebrato positivamente, dall’altra molto criticato…

E. P. – Siamo tornati a casa ma la nostra casa è anche molto aperta, allargata, poco mainstream, che, proprio perché guarda una realtà meno… nazionalpopolare, meno conosciuta o di potere, è inevitabile che attiri o generi insofferenza da una parte della società e dovuta a diversi motivi, talvolta uniti tra loro: preconcetti, mancanza di conoscenza, presa di posizione ideologica…

Sono tempi, in questo senso, molto critici, che vedono una regressione culturale e morale, una recrudescenza dell’intolleranza e una erosione dei diritti delle persone…

E. P. – Sì… viviamo in un periodo in cui le idee involutive, razziste, classiste, sessiste e transfobiche, sia sul piano underground sia del mainstream, stanno prendendo coraggio tanto quanto, però, quelle atte a contrastarle. Destre ed estreme destre si stanno riorganizzando un po’ ovunque e questo anche perché hanno una rete internazionale di sostegni e fondi, e sanno restare unite nonostante le differenze e divisioni interne… D Editore cerca di fare chiarezza su questo e su argomenti che sono terrendo di scontro ideologico…

…forse anche perché fanno leva sulle paure relative all’altro da sé, in parte ancestrali, in parte, più semplicemente, perché concentrate su quel che non è conosciuto… dovute all’ignoranza…

E. P. – Non so se e quanto dipendano dall’ignoranza… direi, piuttosto, che sono più semplici da capire, che contano su una propaganda di diretta penetrazione, e dal fatto che le persone sono più esposte a questo tipo di comunicazione e propaganda. Non credo che guardare questo fenomeno deleterio dall’alto sia producente: credo che serva, piuttosto, fare proporre alternative, studi, riflessioni, dibattito… Chi non ha abbastanza strumenti per percepire il tentativo di apostolato è più facilmente coinvolgibile; se, al contrario, si propone un punto di vista differente, e lo si diffonde, si è più alla pari… Non so se ci siamo spiegati… ma è questo che vorremmo portare sul piatto della bilancia…

…ingenerando, però, ritorsioni: mi riferisco agli attacchi da voi ricevuti da haters e ai tentativi di farvi censurare su e da Facebook e Instagram, ad esempio; in particolare, i contenuti critici e le congiure provengono da ambienti omofobi e transfobici relativi al vostro libero Queerfobia… A questo punto come se ne esce? Come potete equilibrare quel vostro citato piatto sulla bilancia?

M. E. – Hai ragione, non è una situazione facile. Ma per noi sono anche… delle medaglie.
Stiamo sempre molto attenti a come muoverci, rispettosi seppure fermi nelle nostre scelte, azioni e reazioni. I Social sono uno specchio della realtà ma sappiamo anche che lì molti comportamenti si esasperano anche grazie al filtro dello schermo, all’anonimato…

E. P. – Detto questo, va considerato che molte di queste persone hanno subìto, talvolta senza nemmeno rendersene conto, un martellamento propagandistico e mediale da parte anche della politica – dei vari Salvini, Pillon; Trump a suo tempo, Orban oggi, eccetera – che li ha portati verso quei sentimenti e quelle idee di intolleranza e discriminazione… Noi dobbiamo capire i meccanismi che sono alla base di questo… Noi crediamo nel valore rivoluzionario del complottismo: lo scientismo, secondo noi, ha miseramente fallito comunicativamente…

Scusa??!

E. P. – Attenta, ribadiamo: comunicativamente. La manipolazione passa da lì: dall’informazione, dalla diffusione di certe idee e notizie (vere o false), e se non lo comprendiamo bene e non ci attrezziamo per contrastare ciò proprio in questo campo specifico, beh: non risolveremo.

Se ho capito bene: ad un certo tipo di comunicazione di ideologie si deve rispondere con una controinformazione, controcomunicazione??

M. E. – Qualcosa del genere…

E. P. – Per rispondere meglio alla tua domanda sul “come se ne esce”… se ne esce lavorando in modo compatto, consapevole, informato, strategico e ininterrottamente, proprio su quel terreno. È proprio ciò che cerchiamo di fare con i nostri libri, con le discussioni pubbliche eccetera.

Stai dicendo “fotti un sistema” con le sue stesse armi?

E. P. e M. E. – Per rompere la macchina si deve fare uno studio che, a nostro avviso, ancora latita, e riguarda il come e il perché tante persone diverse riescano a trovare così facili e quindi condivisibili delle teorie e delle ideologie che sono, invece, tanto complesse, comprese quelle complottistiche… Noi facciamo quel che possiamo per far conoscere, almeno, spunti alternativi, altre argomentazioni…

In tutto questo caos alimentato, anche, in questi ultimi due anni di pandemia, da un aumento del tempo medio passato su Internet, tra Social, news e ricerche veloci online, possiamo individuare qualcosa di positivo che potremo mantenere dopo questa esperienza che è anche collettiva?

M. E. – Leggevo giorni fa una statistica e un articolo a commento – in questo momento, scusami, ma non ricordo esattamente la fonte – che rilevava come, che nell’arco di pochi mesi, in Italia ci sia stata un’alfabetizzazione e un’innovazione tecnologica e una generale penetrazione digitale che aveva sino ad oggi stentato ad affermarsi. È probabilmente questo quel risvolto positivo che ci chiedevi di individuare all’interno di un’emergenza che ha portato morti e feriti… Ora aspettiamo di vedere progressi relativi al buon uso – anche da parte della pubblica amministrazione, ad esempio – di questo nuovo bagaglio che l’Italia si ritrova…

E. P. – Un’altra cosa inedita che si è manifestata e credo e spero non perderemo più è il rispetto per il proprio tempo, quello che ci appartiene: tempo di lavoro, tempo libero, tempo per la famiglia, tempo da dedicare e impiegare… quel tempo lì, insomma.

Ti faccio l’esempio che stanno facendo tanti imprenditori, lamentandosi perché non trovano personale disponibile per tanti lavori, omettendo però di dire che la richiesta è di dedicare tanto (tempo) per paghe molto basse… Ebbene: credo che ci sia una consapevolezza nuova da parte delle persone che non solo non vogliono più essere umiliate e sfruttate ma che hanno anche raggiunto una consapevolezza inedita rispetto al valore del proprio tempo impiegato o dedicato… Forse questo potrebbe essere un seme che farà germogliare, in futuro, una maggiore ridistribuzione della ricchezza e del rapporto tra tempo lavorativo e tempo personale, libero…

A tal proposito ho letto che dal 2019 in Islanda hanno diminuito le ore lavorative – passate da 40 a 36 a settimana – ma è accresciuta la produttività oltre ad essere aumentato il benessere dei lavoratori che ha portato una ricaduta positiva ed anche economica su tanti fronti: familiari, di salute, sociale, culturale, sulla fruizione delle imprese dell’intrattenimento, dello sport e del tempo libero… Pur considerando che l’Italia non è paragonabile, per contesto, economico, pubblico, tecnologico e burocratico né all’Islanda né a simili esperimenti internazionali, l’ipotesi è però almeno da studiare…

E. P. – Esattamente, un case-study… perché da noi davvero è inaccettabile e insostenibile la disparità sociale ed economica e l’accentramento della ricchezza che è quasi disgustoso…

Covid ed emergenza hanno estremizzato le disuguaglianze come avviene sempre in periodi di crisi…

E. P. e M. E. – Sì è purtroppo così, e proprio per questo dovremmo impegnarci tutti per sanare questi divari… che sono anche culturali…

Ed è anche per tentare di andare incontro alle problematiche economiche del pubblico, ma anche editoriali, che avete collaudato la versione e-book di alcuni vostri libri? Proseguirete ad usare questa modalità?

E. P. – L’abbiamo sperimentata ed è andata bene; continueremo, certamente, considerando anche che talvolta le due operatività si affiancano, collaborano… Sono modi diversi di proporre e di permettere la fruizione di uno stesso libro: noi cerchiamo di contenere i prezzi dei nostri volumi e l’e-book lo consente con facilità…

Entro quest’ottica, voi liberate dai diritti i vostri e-book e ognuno, volendo, può scaricarli e scambiarseli gratuitamente… Non è una scelta un po’… masochistica per una casa editrice che vive dei proventi della vendita dei propri prodotti?

E. P. – Mah… noi crediamo che chi è interessato, il libro cartaceo lo preferisca; e/o legga l’e-book e poi, trovando i contenuti interessanti, decida di passare alla versione standard… Chi non può… con l’e-book free ha l’opportunità di avere qualcosa di cui aveva necessità e di acquisire una maggiore conoscenza e coscienza…

Gli argomenti che avete trattato sino ad oggi vi sono, abbiamo detto, congeniali; come gli scegliete, selezionandoli tra tanti che pure sentite a voi vicini?

M. E. – Bella domanda… Nel contesto che pure comunque ci interessa, andiamo a scegliere proposte più definite e ficcanti…

E. P. – Sì, se scegliamo un argomento, facciamo un esempio, sul femminismo, individuiamo una proposta che affronti un tema nel tema, una teoria nella teoria… Questo ci premia…

…anche commercialmente?

E. P. – Beh, siamo e restiamo comunque una casa editrice di nicchia, ma questa nicchia è fatta di persone numerose e non è irrilevante: è cospicua, ha un peso specifico e numeri che anche economicamente ci bastano

Inoltre, arriviamo quando certi temi sono di necessario approfondimento e di più improrogabile dibattito; ad esempio, quelli trattati in La felice e violenta vita di Maribel Ziga, un mémoire dedicato alla madre dall’autrice, Itziar Ziga, anarchica, giornalista e attivista transfemminista basca; o in Queerfobia, con ben quarantadue contributi diretti (a cura di Giorgio Ghibaudo Gianluca Polastri) sul fenomeno della discriminazione, rimozione e della violenza esercitata sulle persone e comunità queer; o, ancora, di imminente uscita, un libro sul pornoterrorismo di Diana Torres (n.d.R.: performer e attivista della post-pornografia, un movimento controculturale che reclama la ridefinizione del concetto stesso di porno oltre la sua connotazione “fallogocentrica”).

Non dimenticare che i nostri autori non sono solo degli storici, dei ricercatori e conoscitori dell’argomento proposto ma quasi sempre sono persone che hanno vissuto e mosso in prima persona quel che raccontano.

Tornando alla Biennale di Architettura e al catalogo del Padiglione italiano… Raccontateci di questa avventura…

E. P. e M. E. – Abbiamo puntato alto e, forti di un gruppo di lavoro consolidato, di titoli rilevanti, di una migliore organizzazione del nostro lavoro, siamo arrivati sin qui, con le nostre sole forze. Abbiamo incontrato una persona aperta e disponibile come Alessandro Melis e il progetto ha preso forma.

Cosa avete apprezzato di più nel suo tipo di Padiglione (che peraltro è della stessa Biennale di Hashim Sarkis)?

E. P. M. E. – Abbiamo apprezzato che Melis, come Sarkis, si sia assunto il rischio della ricerca, di una radicalità profonda e di porre temi politici – alcuni emergono senza essere espliciti – legati alla filosofia libertaria. Le basi di quella filosofia ci sono tutte: dai temi dell’antirazzismo, del femminismo, dell’ecologia, dell’anti-ablismo***, dalla lotta di classe fino a panoramiche cosiddette utopistiche.

È stata ed è anche per questo una Biennale molto dibattuta, anche divisiva, perché è stato detto quanto sia priva proprio della stessa Architettura…

E. P. e M. E. – Beh, se per Architettura si intende quella della casa, del palazzo, insomma, del progetto fisico del costruire, allora capiamo che questa Biennale abbia spiazzato… ma oggi l’Architettura è qualcosa di molto più ramificato, ricco e complesso: deve considerare e includere tanto altro legato alla comunità alla quale deve dedicarsi, non è solo l’organizzazione dello spazio fisico e pratico in cui deve vivere e agire l’essere umano…

Comunità resilienti ci restituisce un binomio importante, che fa anche pensare a una… resistenza… A tal proposito, complimentandomi con voi per la grafica del catalogo in generale, noto che il logo porta in sé una sua veemenza politica molto schietta: tutto alquanto rischioso perché molto caratterizzato…

Mi ricorda uno di quelli usati dal Black Panthers Party, il famoso pugno chiuso guantato e alzato, quello che poi tutto il mondo conobbe grazie alla protesta dagli atleti neri Tommie Smith e John Carlos sul podio della premiazione per i 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968…

E. P. e M. E. – Intanto: grazie, che bel complimento! Sì è vero, il richiamo è convocato, il logo non accidentalmente è molto… revolution! In effetti abbiamo interpretato l’atmosfera etica e politica del Padiglione, lo spirito dell’impegno dato da Melis e ci sembra abbia funzionato tutto molto bene…

Anche la scelta della rilegatura è particolare, a vista, cucita: un’attenzione ecologica che è coerente con la politica del Padiglione e della Biennale…

E. P. e M. E. – Ci interessava essere realmente ecologici – carta certificata; inchiostro bio, che deriva da inceneritori; uso minimo di colla a favore della rilegatura a cucitura; scelta del font leggibile ma atto ad occupare meno carta possibile (il Calibri) –, più economici e contemporanei, coerenti con il messaggio che Padiglione e kermesse hanno portato…

Quanta libertà vi è stata lasciata, dal punto di vista editoriale e grafico?

M. E. – Massima libertà, e in questo non ringrazieremo mai abbastanza Alessandro (N.d.R.: Melis); certamente, eravamo in grande sintonia, ma lui ha anche garantito per questo nostro lavoro, che visivamente doveva interpretare e comunicare, come si diceva prima, una scelta di campo, politica – non partitica! – che il Padiglione e la stessa Biennale hanno fatto…

Credete, sinceramente, che oggi l’Architettura abbia questa forza e questa funzione, ovvero quella di contribuire a fare comunità e resilienza (o stimolandola, accompagnandola…)?

E. P. e M. E. – La nostra idea è che la commistione sia premiante e che ogni disciplina debba contribuire a promuovere o produrre una visione e un’alternativa sociale e culturale…, quindi anche l’Architettura (si) deve porre il problema e tentare strade e scenari nuovi. La resilienza significa non arrendersi e trovare, appunto, altre strade e opportunità…

I vostri progetti futuri quali sono?

E. P. e  M. E. – Tra l’estate e l’autunno altri libri e Libertariaun progetto vasto sul tema dell’Anarchia, che propone una diversa idea di organizzazione della Società: si tratta di ben cinque volumi, più di trecento saggi, tutto curato da Gian Piero De Bellis

Un progetto ambizioso e monumentale… non proprio… dolce…, probabilmente indigesto sia per molti anarchici più… conservatori sia per gli anti-anarchici…

E. P. e M. E. – Sì, un lavoro molto approfondito e sicuramente non tradizionalista. Ma pone una articolata riflessione, crediamo necessaria, sulla crisi e sulla degenerazione di un potere dominante che soprattutto nel nostro presente e in futuro non ha più ragione di essere.

Se doveste ipotizzare e lavorare per un presente e a un domani migliore, come riassumereste le mosse da fare? Che contributo servirebbe?

E. P. e M. E. – Crediamo che si possa fare cultura attraverso i libri e che questo sia quanto noi possiamo e siamo in grado di fare. Viviamo un tempo dove tutto è basato sugli algoritmi, la finanza, la disparità di ogni tipo e l’accentramento del potere e l’autoritarismo: pensiamo sia necessario dedicarsi anima e corpo a creare comunità volontarie, auto-organizzate, e con principi diversi da quelli.

Sotto sotto, mi state citando Michail Bakunin?

E. P. e M. E. – Ma pure… sopra sopra! (ridono)

Il futuro degli esseri umani si delinea assi distopico… Bakunin è uno dei pensatori e rivoluzionari che non dovremmo mai dimenticare…

Note

  • * Il tokenismo è la pratica di fare solo uno sforzo superficiale o simbolico per essere inclusivo ai membri di gruppi minoritari, in particolare reclutando persone da gruppi sottorappresentati al fine di dare l’apparenza di uguaglianza razziale o di genere all’interno di un contesto lavorativo o educativo.
  • **Azienda o società votata all’ideazione, produzione e diffusione di contenuti multipiattaforma
  • *** L’ablismo è la discriminazione nei confronti delle persone disabili e, più in generale, il presupporre che tutte le persone abbiano un corpo abile. L’anti-abilismo è tutto ciò che tenta di contrastarlo.

di Barbara Martusciello

art a part of cult(ure) è il magazine online nato con l’intento di promuovere, diffondere, valorizzare l’arte contemporanea e più in generale la complessità della cultura nelle sue molteplici manifestazioni.

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