[aapoc] Il desiderio come passione felice: intervista a Maura Gancitano

Dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva.
Friedrich Hölderlin

Questo pensiero guida la Festa della Filosofia 2021 che si è svolto a giugno a Roma nello spazio del Monk, fino al 1 luglio.

La seconda edizione dell’evento ideato da Tlon (che ha rappresentato una vera e propria innovazione nel modo di guardare, ascoltare e rapportarsi alla Filosofia) risponde ad un’esigenza collettiva di riprendersi la vita anche nel periodo più oscuro e dall’esortazione a “non distogliere lo sguardo davanti a ciò che ci fa tremare e percepire la profonda instabilità delle nostre certezze”.

Una Festa per riscoprisi una comunità fatta di esseri umani vicini e solidali che possano raccogliere i propri desideri attorno alle parole e ai pensieri che da sempre danno struttura all’emergere di un mondo.

Di questo progetto, del suo significato e dell’incontro con gli altri ne parliamo con Maura Gancitano ideatrice, assieme ad Andrea Colamedici, del progetto Tlon e della Festa della Filosofia 2021.

Cos’è la Festa della Filosofia e da quali necessità nasce?

La Festa della Filosofia nasce dal concetto della filosofia come festa, un pensiero abbastanza insolito rispetto all’idea che generalmente abbiamo della filosofia, ovvero una materia seria e per lo più noiosa. In realtà la filosofia è sempre stata legata alla convivialità e quando parliamo di filosofia della festa, in parte ci ispiriamo all’idea di Hakim Bey che ha teorizzato l’idea di zone temporaneamente autonome cioè incontri tra persone che costruiscono relazioni e comunità, creano una festa e dopo possono anche separarsi e tornare dove erano prima. È un po’ la stessa idea alla base del Burning Man: creare un’occasione di relazione.

La prima Festa della Filosofia, che abbiamo realizzato nel gennaio 2020 in Triennale a Milano, ha rappresentato un momento importante soprattutto per le relazioni tra le persone, per i dialoghi che si sono creati, per i capannelli di partecipanti che discorrevano con i filosofi e le filosofe chiamati a facilitare questo dialogo.
Quando quest’anno abbiamo capito che, dopo tutti i mesi di chiusura sarebbe stato di nuovo possibile organizzare degli eventi dal vivo, il primo pensiero è stato quello di preparare una nuova edizione della Festa, questa volta a Roma per incontrare di nuovo le persone e alimentare il loro desiderio di ricominciare ad incontrarsi.

Volevamo, dopo tanti progetti online, creare relazioni reali e volevamo che la filosofia ne fosse lo strumento, il ponte che avrebbe fatto incontrare le persone.
Così, come del resto per quasi tutto quello che facciamo (la Libreria Teatro nata dall’idea di creare relazioni in un quartiere in cui, all’epoca, non c’erano luoghi culturali in cui incontrarsi), anche la Festa della Filosofia è nata dal desiderio di fare incontrare le persone.

Anche per questo uno dei simboli della Festa è un album di figurine di filosofi e filosofe, un’idea che Andrea Colamedici aveva sviluppato nei mesi scorsi e che si è concretizzata unendo il programma della giornata del Festival a un album di figurine.

In ogni serata ai partecipanti oltre all’album vengono date quattro figurine di cui una è un doppione quindi, per ogni serata in realtà tu hai tre figurine diverse e un doppione che sei costretto, costretta a scambiarlo con qualcun altro, tra il pubblico, che ha un doppione di quello che manca a te. È un modo molto semplice e rispettoso delle restrizioni per fare incontrare le persone scherzando e giocando perché lo scambio di figurine e il gioco per eccellenza dell’infanzia.

Quando e perché la Filosofia è diventata argomento tanto popolare da incontrare quotidianamente numerosissimi siti, gruppi, pagine social, festival, eventi?

La popolarità della filosofia è qualcosa che ritorna ciclicamente e, secondo me, accade soprattutto nei momenti di disorientamento. È già accaduto in passato, in tutto il Novecento, ma anche nella filosofia antica.

In questi ultimi anni, a differenza di quando noi abbiamo cominciato (allora la filosofia sui social si limitava a un insieme di citazioni molto spesso false o attribuite a questo o quel filosofo che non avrebbe mai potuto esserne l’autore), si è arrivati ad aver bisogno di contenuti più profondi.

Io credo che sia proprio quando ci rendiamo conto che la cartografia della realtà è diventata troppo complicata e non riusciamo più orientarci né a livello individuale né collettivo, che la filosofia torna essere seguita, ascoltata, letta e vista. Come adesso, che è un momento in cui è importante anche il senso di responsabilità di chi diffonde i contenuti e fa comunicazione culturale. Perché, pur se è verissimo che sui social non si può avere la stessa profondità e complessità che esiste negli scambi dal vivo, comunque si può raggiungere un contenuto molto più profondo rispetto a quanto crediamo.

Qual è il filo conduttore della vostra festa?

Il filo conduttore è il desiderio e in questa scelta abbiamo trovato un’affinità anche con altri festival per esempio Torino Spiritualità a cui abbiamo partecipato.

Desiderio, perché in questo momento si pone invece molto l’accento sulla speranza e non sul desiderio. La speranza, però, come diceva Spinoza è la passione triste, la speranza in qualche modo è la delega esterna a ciò che può accadere, è un eterodirezione, quindi, un modo per demandare a qualcun altro il cambiamento rispetto alla situazione in cui viviamo.

Il desiderio, invece parte da dentro, parte da dalla domanda sull’autenticità di ciò che vogliamo; sulla direzione che vogliamo prendere, parte dal presente con l’osservazione di quello che sta accadendo. Il desiderio, quindi, è per noi una passione felice (sempre come diceva Spinoza), che ha bisogno di coraggio, il coraggio di osservare le proprie fragilità, le proprie vulnerabilità, gli ostacoli.

Un coraggio che ha a che fare anche con la collettività perché il desiderio oggi non può essere visto solo come una visione personale del mondo futuro ma deve essere, secondo me, uno scenario il più possibile condiviso.

La popolarità, inoltre comporta una interessante focalizzazione su argomenti che non erano mai stati particolarmente importanti in precedenza. Succede spesso di vedere come su un determinato argomento improvvisamente converga sia l’attenzione di chi lo comunica, sia la necessità delle persone di approfondirlo.

Sì, questo “convergere” succede spesso, ad esempio quando si parla di immaginazione, o anche di fioritura Secondo me dipende dal fatto che abbiamo bisogno di termini di espressioni che siano in qualche modo punti di riferimento, che ci aiutino a dire delle cose che sono indicibili e difficili da condensare. Probabilmente è questa la ragione per cui si inizia a parlare di qualcosa e poi ci si ritrova ad aver scelto le stesse parole gli stessi concetti di molti altri.

In qualche caso è utile perché i punti di riferimento servono. Il problema nasce quando i punti riferimento diventano dogmi e ti impediscono, di fare percorsi nuovi.
Questo noi l’abbiamo visto anche con l’idea di fioritura personale della quale abbiamo iniziato a parlare recuperando alcune idee della filosofia della seconda metà del Novecento, come anche l’idea di acmé di Diogene Laerzio.

Adesso fioritura si trova ovunque e noi iniziamo a domandarci se forse non ci sia un termine migliore. È per questo che abbiamo cercato di parlare di desiderio, perché ci piaceva sottolineare che in questo momento dovremmo cercare di coltivare il desiderio più che la speranza. Se non ci riusciamo a livello individuale possiamo cercare di farlo insieme, quindi anche attraverso l’intelligenza collettiva.

Però, appunto, il fatto che l’abbiamo scelto in così tanti lo stesso argomento, ci fa pensare che probabilmente non possiamo fermarci qui. Secondo me le parole sono dei veicoli, degli strumenti importantissimi; è interessante che ci siano convergenze, soprattutto se sono spontanee; la convergenza, però, è soprattutto nella scelta di certe parole e deve essere un momento di passaggio, non un punto finale. Quindi in questo momento l’abbiamo scelta perché è importante parlare di desiderio, è importante sapere che è possibile desiderare anche in un tempo come questo, però poi domandiamoci qual è Il passo successivo: dopo aver riflettuto sul desiderio, su cos’altro possiamo riflettere?

Le persone che invitate alla Festa sono state subito entusiaste o avete dovuto faticare per coinvolgerle?

Le persone che abbiamo invitato si sono mostrate subito entusiaste. Abbiamo cercato di coinvolgere persone molto diverse quindi accademici e accademiche, ma anche persone che hanno invece un taglio più divulgativo e anche musicisti. Abbiamo cercato altri nomi oltre a quelli che già avevamo ospitato alla prima Festa e a Prendiamola con Filosofia. Ne è risultato un ambito molto variegato, ma in generale ci hanno detto sì anche persone che non avevamo mai coinvolto. E ancora ci sono tante altre persone nuove con cui stiamo dialogando…

Ad uno sguardo complessivo chi sono i fruitori di un evento straordinario come questo?

Per quanto riguarda la fruizione dell’evento le persone che partecipano sia on-line, sia dal vivo, sia in streaming sono persone molto diverse e il nostro pubblico, se possiamo dire così, è un pubblico particolare, estremamente variegato in termini di generazioni ceto sociale e istruzione, ma è accomunato dal desiderio di farsi delle domande. Quindi sono le persone che hanno voglia di partecipare a un evento, di stare in una condizione diversa e sono anche coinvolte emotivamente.

Questo lo abbiamo percepito già dei primi incontri. Il pubblico, quindi, è fatto da persone per cui è emozionante partecipare all’evento e trovarsi insieme. Sono persone che hanno voglia di giocare e di fare ironia sia nel senso comune sia nel senso socratico, diciamo così, e quindi non c’è un target a livello di genere o di età, le persone che ci seguono sono persone molto diverse tra loro, hanno qualcosa che le accomuna che secondo me è proprio questo desiderio di farsi delle domande di confrontarsi con visione del mondo diverse

Molta della vostra visione è orientata a risvegliare le capacità ludiche delle persone. Un aspetto che (scusate il gioco di parole) non ci si aspetta da una materia che ha a che fare con la costruzione della visione del mondo. Qual è il risultato del mettere in evidenza proprio questa forma della filosofia?

L’aspetto ludico della filosofia in realtà si ritrova in tanti ambiti: nella filosofia antica, tra i sofisti, Socrate, i cinici… Di simili aspetti ce ne sono molti anche nella filosofia medievale e rinascimentale e, anche se non sembrerebbe, nella filosofia del Novecento.

L’aspetto ludico della filosofia può spiazzare o anche irritare chi ha una visione statica e noiosa della filosofia, laddove, la filosofia invece è movimento e cambiamento di prospettiva.
In realtà, però, questo aspetto di gioco attrae più spesso le persone che hanno dei pregiudizi. Noi lavoriamo con persone molto diverse che il più delle volte non hanno una formazione filosofica, per esempio persone che si occupano di ingegneria, architettura, biotecnologie e cerchiamo di portare il più possibile gli esercizi filosofici in questi ambiti perché rappresentano un cambiamento di prospettiva.

Per esempio, quando parliamo nelle aziende che si occupano di aspetti tecnici, il pregiudizio che le persone che ci lavorano hanno su sé stesse è che la filosofia non le riguardi, così come tutto quello che è umanistico e non tecnico-scientifico, quindi anche la creatività e l’immaginazione.

Noi cerchiamo di rompere questi pregiudizi offrendo l’idea che l’immaginazione e l’emozione sono delle intelligenze; che dobbiamo coltivare la filosofia perché ha a che fare sia con il livello logico razionale e quindi con intelligenza razionale, sia con l’aspetto immaginativo.

Nell’ultimo anno, per esempio nei corsi allo IED e al Centro Sperimentale dove abbiamo lavorato, invece, con designer, stilisti, sceneggiatori, registi e attori, quindi con persone che si occupano di aspetti immaginativi, abbiamo sperimentato alcuni di questi esercizi filosofici e abbiamo notato quanto sono potenti e come possono cambiare la prospettiva.

Uno di quelli che abbiamo usato più spesso, proprio perché non potevamo incontrare le persone dal vivo, è stato la deriva situazionista di Guy Debord. Una mezz’ora di deriva, anche fatta individualmente quindi rompendo la lezione frontale, è stata utilissima in tanti casi per rimettere in circolo le idee e la creatività dato che le difficoltà incontrate nella didattica a distanza è stata di tutte le persone, forse in particolare delle persone creative.

In cosa è diversa l’attuale Festa della Filosofia di Roma da quella di Milano nel 2020?

Ci sono cose diverse tra la festa della filosofia di Roma e quella di Milano. In primo luogo a gennaio 2020 non immaginavamo quello che sarebbe successo, inoltre è diversa perché oggi c’è ancora di più il bisogno di parlarsi, di dialogare e di comprendere qualcosa in più rispetto alla situazione presente, ma soprattutto rispetto al futuro dell’umanità.

Quello che è accaduto è che, nell’ultimo anno e mezzo, non sono emersi in realtà dei temi i nuovi, ma è diventato molto chiaro che quello su cui la filosofia e la storia ponevano l’attenzione. Penso, adesempio, alle 21 domande per il XXI secolo di Yuval Noah Harari che parlava anche di pandemie e poneva tante questioni: ecco sappiamo che tutte queste questioni sono sul tavolo e noi le dobbiamo discuterle.

Quello che è cambiato è che il senso di urgenza rispetto alla necessità di dialogo è diventato importante: c’è bisogno di capire e di capirlo insieme, quindi di relazionarsi.

Il cambiamento è un cambiamento esperienziale, le nostre esistenze sono cambiate e ancora di più la filosofia, a questo punto, può mostrarsi come una pratica, come qualcosa che ha un effetto tangibile e concreto di trasformazione della vita delle persone sia a livello individuale che a livello collettivo. Quindi, rispetto al gennaio 2020, diventa ancora più chiaro quanto sia importante parlare occuparsi di filosofia.

Fate un esercizio di immaginazione: dove pensate di arrivare?

Dove pensiamo di arrivare non lo sappiamo. Abbiamo sempre tantissime idee e cerchiamo di svilupparle e in modo sostenibile. Tlon è una realtà indipendente che poi alla fine è sempre diretta da me e da Andrea, quindi l’ideazione nasce sempre da noi, quindi di cose da fare ce ne sono ancora molte.

Noi non riusciamo a progettare davvero a lungo termine perché abbiamo bisogno che, in qualche modo, quello che facciamo sia legato alla condizione che tutti stiamo vivendo in questo momento. Né io né Andrea abbiamo pensato a un traguardo finale da raggiungere.

Diciamo sempre di disegnare il proprio labirinto, ecco, noi stiamo disegnando il nostro labirinto, il nostro percorso e lo facciamo con uno spirito di curiosità e di coinvolgimento. Ora ci interessa coinvolgere le persone da questo punto di vista, ma senza che questo porti un traguardo già definito.

Quello che so è che ci sembra di aver fatto pochissimo rispetto a quello che desideriamo fare e rispetto a quello che siamo curiosi di scoprire. Questa spinta alla curiosità ci fa vedere soprattutto un percorso. Quello che in questi anni abbiamo fatto è stato disegnare una prima parte del nostro labirinto cercando anche di imparare a capire, di imparare nuove cose, in modo da sviluppare anche progetti più sostenibili è più strutturati.

No, non ho una visione di dove vogliamo arrivare, forse anche per questo la Festa di quest’anno è stata organizzata in poche settimane, perché nasce da dal bisogno di creare un modo per dare alle persone la percezione che si possa ancora stare insieme e che, anzi, stare insieme oggi sia particolarmente importante.

di Isabella Moroni

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