[#tbt] (Post) Punk prima di te

Black Country New Road, Viagra Boys, Squid, Black Midi, e poi ancora i più famosi Shame, Idles, Black White Family, fino ad arrivare ai celebrati Fontaines DC. Da un paio di anni la scena post-punk è letteralmente esplosa – o sarebbe meglio dire riesplosa – con il suo epicentro a Londra, ma senza farsi mancare escursioni in terra irlandese e nord Europa. I nomi citati all’inizio rappresentano solo una piccola parte del coacervo di band che portano sulle spalle la bandiera di questa ennesima rinascita. Un film già visto, come nei primi anni ’00? Solo in parte, in quanto oggi, per cause molteplici e infelici, appare improbabile vedere una di queste band spiccare il volo verso l’olimpo degli stadi, come fecero gli Interpol a loro tempo. In alcuni dei protagonisti di questa nuova ondata si osserva una maggiore tendenza alla sperimentazione, meno schiava di punti di riferimento un tempo intoccabili (uno su tutti, i Joy Division). È però innegabile che si assista a un proliferare di complessi e dischi che si somigliano pericolosamente. Un throwback del throwback, quindi?

Chi scrive ama profondamente il punk e tutti i suoi sottogeneri, eppure, dopo l’ascolto dei giovani protagonisti di questo revival, si ritrova quasi inconsciamente a inserire nel lettore un disco che di anni ne ha quasi quaranta. L’album in questione, anzi l’EP, è “Death Party”, degli indimenticabili ma spesso dimenticati The Gun Club. Perché proprio la band dello sciagurato Jeffrey Lee Pierce, che oltre ad essere californiana e non londinese, con il post-punk classico c’entra poco o nulla?
Non è questo lo spazio per raccontare la le gesta musicali e la tragica fine dell’incredibile artista che guidò questo ensemble dalla formazione intercambiabile. Nondimeno, riascoltare la potenza deflagratoria di questi 5 pezzi, distribuiti su appena 19 minuti, potrebbe avere un potere rivelatorio per molti appassionati del genere. E, perché no, magari anche per alcune delle giovani band che navigano a volume altissimo in acque troppo sicure.

La produzione dell’EP viene attribuita a Chris Stein dei Blondie, anche se pare che il suo contributo si limitò all’aggiunta di alcuni effetti chitarristici, mentre il mattatore delle turbolente registrazioni fu, ovviamente, Jeffrey Lee Pierce. Il risultato fu, e resta tuttora, una fantastica summa di quanto espresso dalla band fino a quel momento. “The House on Highland Avenue” si presenta come una torbida ballata, ma ci intrappola presto in una danza funerea che monta di intensità e ritmo secondo dopo secondo. Da un crescendo simile è animata “The Light Od The World”, anche se qua siamo più dalle parti di un rhythm’n’blues nichilista e allucinato, mentre “Death party” spiega in
cinque deliranti minuti come mai qualcuno abbia coniato il termine vodoo rock per descrivere la musica del gruppo. Il pezzo che chiude il disco, “Come Back Jim”, forse proprio un’invocazione di quel Jim Morrison a cui Jeffrey Lee Pierce è stato spesso accostato, riporta in auge gli epici saliscendi del loro debutto, “Fire Of Love”, capaci di influenzare una generazione di musicisti.
L’apice dell’EP è però forse già raggiunto alla seconda traccia, con la folle corsa di “The Lie”. Qui la
voce di Pierce troneggia, epopeica e grandiosa, su un marziale riff di chitarra, ripetendo come un
mantra il verso “Now I know the lie”. Cosa farsene oggi dell’esempio, non certo di vita, dei “The Gun Club”? Tornando al “potere rivelatorio” citato in precedenza, sarebbe sufficiente tirare fuori i loro dischi dallo scaffale e riascoltarli. Ancora e ancora. Per capire, forse,  che certe vette, nell’arte come nella vita, si raggiungono solo osando.