WESTERMAN, “Your Hero Is Not Dead” (Partisan Records, 2020)

L’ADHD è una malattia caratterizzata da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione, iperattività e impulsività. Senza andare a scavare nei sintomi è facile immaginare quanto debba essere complicato gestire ogni aspetto della propria vita per chi ne è affetto, e quanto sia difficile ricavare scampoli di lucidità utili a far quadrare le cose intorno. Nonostante interessi in larga parte i bambini l’ADHD è stato diagnosticato a Will Westerman solo nel 2017. Non sembra quindi un caso che il ritornello della sua Confirmation, uscita l’anno successivo, suonasse come una riflessione e insieme un obiettivo da raggiungere: ‘avere riscontri è più facile se non li cerchi ossessivamente’, affermava saggiamente il giovane autore londinese prima di ammettere di non riuscire ancora a ragionare in quel modo. Non possiamo dire con sicurezza se l’hype generato da quel singolo sia stato di aiuto. Per certo Your Hero Is Not Dead è una frase che sembra sottintendere che un lavoro su se stessi sia quantomeno in corso, ed è doppiamente programmatica essendo non solo titolo di questo esordio su album ma anche mantra di quella Drawbridge messa in apertura: una vera e propria dichiarazione di intenti, un ’nonostante tutto sono ancora in piedi’ proclamato al netto di grandi fatiche (tra cui certamente la malattia di cui sopra) ma anche (o proprio per questo) con ostinazione. Will, con la situazione finalmente a fuoco e sotto controllo, cerca di riconquistare dei punti fermi, che si tratti di relazioni andate male (The Line) o di status quo personale (Think I’ll Stay); tutte fasi di vita attraverso le quali passano in molti, ma la sensazione è che si non cerchi nessuna confirmation questa volta. C’è anzi voglia di fare il punto su se stessi in maniera elusiva e senza cercare empatia, facendo sì passare un messaggio di fondo ma comunicandolo tramite versi a volte vaghi e quindi variamente interpretabili, altre volte al contrario da nitide descrizioni di ambienti e stati d’animo rigidamente soggettivi. Nella stessa Float Over quell’unico verso che recita ‘don’t be afraid to take it as it is and float over’ ha nuovamente il sapore di una lezione da ricordare a se stessi piuttosto che un’esortazione per l’ascoltatore: arriva catartica verso la fine dell’album, e rappresenta un’emblematica chiave di lettura anche per quanto concerne il suono.

Parole e strumenti nella visione di Westerman sembrano legati a filo doppio, e infatti l’individualismo della propria poetica è evidente anche in termini di ricerca musicale. Coerentemente con il proprio cognome Will è cresciuto nella parte Ovest di Londra, ovvero in una zona della città che egli stesso definisce ‘insulare’ e quindi ‘ideale per fare musica senza essere influenzati da ciò che succede intorno’. E in effetti, per quanto si tratti in estrema sintesi di soft-rock incrociato con i misurati ed eleganti scampoli di elettronica forniti da un posatissimo Bullion in console, incasellare il disco in qualche filone o scena è un gioco a perdere. Gli ascolti formativi ufficialmente dichiarati sono Neil Young, Nick Drake e Tina Turner, e da un certo punto di vista ci può stare: proprio come loro Will è un outsider ma rispetto a quanto potrebbero esserlo oggi un King Krule, un Perfume Genius o un James Blake suona meno cupo del primo, meno enfatico del secondo e meno virtuoso del terzo; considerando la delicatezza degli arrangiamenti e gli inequivocabili languori anni 80 messi in luce da synth e fiati lo si direbbe casomai sulla linea che da Brian Ferry porta al Destroyer di Kaputt (Big Nothing Glow), o anche riconducibile per timbrica vocale e melanconia dei testi a Jens Lekman (Blue Comanche) nonostante rispetto a quest’ultimo ci sia meno interesse per la melodia pop centrata e più per l’evocazione di atmosfere, un crocevia di sofisticato e leggero che rende MorMor il nome più facilmente collegabile tra i suoi contemporanei (Waiting On Design) e i Talk Talk di Spirit Of Eden prima fonte di ispirazione tra i classici (nella title track).

“Your Hero Is Not Dead” è un disco che fa dell’inconsistenza la propria consistenza, è una cappa grigia di nostalgia e malinconia su una serie di canzoni dall’impatto tutt’altro che diretto ma che proprio nel loro passo etereo trovano il loro fascino. É una sfuggevolezza che potrebbe anche essere non davvero cercata e piuttosto la conseguenza del disordine mentale di Westerman, sebbene in questa musica non ci sia niente di caotico e molto invece di pulito. Una prima tappa già indicativa di un percorso artistico che ha molto di seducente e poco di ordinario. Ci torneremo.

76/100