BBV n. 24: Copa América 2019

Copa América: è sempre la competizione per nazioni più spettacolare (altro che i Campionati Europei) e quella più psichedelica.

Qui proponiamo un grande classico: Argentina – Brasile.

HURRICANE HEART ATTACKS, “Hurricane Heart Attacks” (Little Cloud Records/Cardinal Fuzz, 2019)

Amo questo gruppo. Gli Hurricane Heart Attacks hanno un nome che rievoca uno dei pezzi pių tosti dei Warlocks (“Hurricane Heart Attack”, dall’album “Phoenix”, 2002) e un sound pop-rock psichedelico accattivante e con sfumature anni ottanta che conferiscono al suono un’epica tutta sua caratteristica e che ne fanno una delle realtà più interessanti del panorama internazionale. Sebbene poco conosciuti in Europa, gli HHA, gruppo argentino proveniente da Buenos Aires e capitanato da Jota Humada (che è anche producer dell’album), con questo terzo LP eponimo pubblicato sia su Little Cloud Records che Cardinal Fuzz lo scorso marzo, provano a sbarcare in occidente e cercare se possibile, maggiore fortuna di quanto ottenuta in passato, dato che da queste parti sono sempre stati considerati solo all’interno di quel cerchio magico degli appassionati di “occulto” e neo-psichedelia.

Lo fanno in una maniera che come accennavo in apertura, è in qualche maniera accattivante e non ha paura di apparire come devozionale a una cultura come quella degli anni ottanta, che in fondo poi ha posto le basi per il rinnovamento del genere. Gruppi seminali come Spacemen 3, ma pure di più larga diffusione come i Primal Scream, hanno segnato quegli anni; senza considerare che è stato proprio in quegli anni che Anton Newcombe cominciava il progetto Brian Jonestown Massacre.

Ma c’è di più, se è vero che l’uso della batteria elettronica o comunque di tempi di batteria minimali, è praticamente ricorrente per tutta la durata dell’album e se con “No One Else” arriviamo persino a riconoscere il marchio New Order e reminiscenze Talk Talk. Che, va detto, sebbene si possa trattare di elementi forse discutibili, rendono l’album ancora più interessante.

Il suono delle chitarre č quello tipico, le fascinazioni shoegaze e rock britannico alternative tipo Ride, si fanno sentire tutte a partire dalla prima traccia “Volatile”, un vibe elettrico che diviene roba di culto underground tipo Replacements con “Honey Child” e che con “Let It Go”, “Fake Gold” e soprattutto “The One Revisited” traduce recital in chiave shoegaze slow-motioned. Pių tipicamente psych tipo BJM anni novanta “Close To The Sun”, mentre l’aciditā di “OCD” suona come avrebbero potuto suonare gli Oasis se solo avessero osato di pių.

In definitiva è un disco vario, ma che dà un senso di compattezza e che davanti allo stile, non tira indietro quella carica elettrica che si richiede a un disco rock e riesce poi alla fine a essere pure evocativo e portatore di visioni lontane tipicamente gaucho (caratteristico l’uso delle congas, che poi accentuano il marchio anni ottanta) e immagini di hombres solitari che cavalcano al calare del sole che brucia rosso fuoco e ce li immaginiamo come degli eroi e ci immaginiamo come degli eroi, perché è così che questo disco ti vuole fare sentire e ci riesce benissimo. Voto alto.

FIREFRIEND, “Avalanche” (Little Cloud Records/Cardinal Fuzz, 2019)

Il miglior gruppo rock psichedelico in circolazione? Non lo so. Voglio dire, sono sicuro che ciascuno potrebbe nominare un gruppo diverso e qualcuno potrebbe anche fare degli elenchi. In ogni caso si potrebbero nominare roba tipo “mastodontica” tipo King Gizzard & The Lizard Wizard, che sono roba forte, per carità, oppure gente come Ty Segall, Oh Sees, che pure mi piacciono molto, ma voglio dire, e se vi chiedessi qualche cosa di veramente forte e qualche cosa di veramente diverso. In questo caso allora fidatevi se vi dico che questo gruppo proveniente da San Paolo, Brasile, è la cosa migliore che potreste ascoltare e la cosa bella, stavolta sì, è che ce ne siamo accorti – pare – finalmente anche in Europa, se è vero che il gruppo suonerā due date qui ad agosto, prima a Berlino e poi alla grande festa che si terrā ad Eindhoven con un sacco di bella gente del giro della Fuzz Club Records.

Per la veritā la storia dei Firefriend, trio composto da Julia Grassetti, C. Amaral e Yury Hermuche, è già fatta di pubblicazioni discografiche gloriose. Il gruppo è in giro da pių di un decennio e la accoppiata “Yellow Spider”-“Sulfur” (il secondo LP ha una copertina semplicemente spettacolare e che ci invita letteralmente a entrare dentro questa feconda fornace cosmica che è il sound di questo gruppo e che poi forse è veramente il sound del futuro del rock psichedelico) nel 2018 è stata semplicemente strepitosa. Superarsi era difficile, quasi impossibile, eppure i Firefriend ci sono riusciti.

Si superano con un doppio LP contenente dodici canzoni e che non accetta compromessi, nel senso che o ti piace, oppure ti piace moltissimo e nel nostro caso vale sicuramente la seconda ipotesi. Si comincia sin da subito a galleggiare in dimensioni lisergiche fatte di chitarre riverberate, atmosfere soffuse, ampio uso di eco e sterzate improvvise che non hanno paura di andare oltre barriere sonore e linee predefinite di accordature e tonalitā giā scritte. “Zoey Speaks” come la title-track “Avalanche”, nel segno della grande lezione e ispirazione più noise e caratteristicamente astratta e priva di forma di Jad Fair, poi “Alone In The Dark”, cantata da Julia, grezza come potrebbero suonare le prime gemme dei Brian Jonestown Massacre alla corte di Pol Pot, e che poi diviene esplosiva con la sublimazione in uno stato di trance cosmico che non è mai pomposo, ma mantiene quel carattere suburbano, post-punk, che richiede tutta la nostra devozione.

Seguono ballads lisergiche come “Love Seems Distorced”, la vintage e visionaria “Electric Moon Revisited”, “Maxwell’s Demons”, blues e recital elettrici allucinati (“Raw Violence”, la glamour “Dissatisfaction”), sessioni prolungate di psichedelia cosmica sperimentale (“Transient Welcomes”) come si sentono osare veramente pochi gruppi in circolazione, penso ai Bardo Pond, e un bel po’ di pezzi rock psichedelici tosti tipo Warlocks (“Death Star, inc”, i dieci minuti di “Who’s Gone What’s Missing”) e le astrazioni lunari di “Godless Clouds” che rimandano a una mistura tra Red Krayola e sperimentazioni a bassa fedeltà di scuola Sparklehorse.

Non è secondario l’imprinting ideologico marcatamente alternative del gruppo e in una dimensione e un paese dove essere “contro” in questo momento significa veramente essere contro qualche cosa di insano (ma qui da noi le cose non sono poi così differenti). Seguono testi che mettono assieme visioni nello stile Burroughs, veri incubi sotterranei, e la fantascienza di K.W. Jeter, subliminali radiotrasmissioni tratte dalle pagine di “Dr Adder” in un capolavoro distopico gigantesco che č quel futuro che a San Paolo è giā presente e questo disco, tutto questo, te lo sbatte in faccia con la forza di una valanga e molto di pių delle solite colorazioni acquarello tropicali con cui siamo abituati a vedere il Brasile e in generale il Sud America. Oppure questi colori sono gli stessi, ma filtrati attraverso radiotrasmissioni pirata, la vecchia mitologia dei cibernauti. Voto altissimo.

Emiliano D’Aniello