JESSICA PRATT, “Quiet Signs” (Mexican Summer, 2019)

Una songwriter come Jessica Pratt, dal 2012 ad oggi, è stata spesso accostata all’universo folk anni 60-70 di artiste come Karen Dalton, Judee Sill o Vashti Bunyan. I punti di contatto sono molti, è fuor discussione.
C’è un però : sebbene gli ascolti della musicista americana abbiano delle coordinate temporali ben precise – Scott Walker, Burt Bacharach sono solo due nomi – e dichiarate nelle interviste, la scrittura della Pratt è senza tempo, quasi “spirituale”, ha una veste intima che appartiene solo all’anima e voce della sua autrice. Banale dirlo, probabilmente. È, invece, importante riconoscere questo lato mistico delle canzoni dell’artista, che, infatti, nel lontano 2007, non pensava nemmeno alla pubblicazione dei propri brani. E se non fosse stato per la Birth Records di Tim Presley, forse oggi non ci sarebbe questo “Quiet Signs”, terzo disco della Pratt e il primo in un studio vero e proprio, i Gary’s Electric di Brooklyn. Il confronto, nuovo e mai provato prima, con una registrazione professionale non snatura, però, il flusso di coscienza creativo della Pratt : un suono, più pulito solo in minima parte, e la partecipazione di Al Carlson (co-produttore del lavoro) e di Matt McDermott (compagno della musicista) ad alcune scelte musicali, non interferiscono nell’io autoriale, fotografia – come sempre – senza filtri di un’interiorità profonda. L’immediatezza lo-fi e il calore confidenziale dei bozzetti casalinghi di “Jessica Pratt”(2012) e di “On Your Own Love Again” (2015) non vengono spazzati via, trovano, semmai, una sublimazione stilistica : gli schizzi chitarra-voce delle (non)produzioni precedenti diventano affreschi “soul” (nel senso letterale, non tanto del genere) disegnati dalla voce e interpretazione fatata, “usignolesca” della cantante(e)autrice e nobilitati ulteriormente da arrangiamenti spogli e adornanti allo stesso tempo, come l’overture al piano di “Opening Night”, apertura, trait-d’union con la successiva “As The World Turns”) e traccia simbolo, significativa nel rifarsi nel titolo all’omonimo film del 1977 di John Cassavetes in cui la protagonista Myrtle Gordon (interpretata da Gena Rowlands) lotta contro i propri demoni interiori, gli stessi affrontati dalla Pratt prima di ritornare a scrivere di nuovo nell’inverno 2016, dopo un periodo confusionario nel post-tour 2015.
“Quiet Signs” è, quindi, il canto dell’anima di un artista, la quiete dopo la tempesta, il riuscire a ricreare alla perfezione la propria dimensione privata anche in quella dello studio di registrazione : folk (da camera) con uno spirito gospel e psichedelico nell’incantevolezza dei cromatismi sonori e vocali.

(80/100)

(Monica Mazzoli)