HOLY MOTORS, “Slow Sundown” (Wharf Cat Records, 2018)

Finalmente un bel disco di musica pop che non deve piegarsi a nessun tipo di compromesso e che peraltro arriva da una parte del mondo diversa dal solito – più precisamente da Tallinn, Estonia. Il gruppo si chiama Holy Motors ed è un quintetto che è stato messo nel mirino già da un po’ dalla Wharf Cat Records di Brooklyn, che negli ultimi due anni ha pubblicato due 7″ della band oltre che il loro primo atteso LP, uscito lo scorso 9 febbraio. Il disco è prodotto da Carson Cox, mixato da Josh Bonati e registrato negli USA presso i Kutch1 Studios di Brooklyn mentre la band era in visita nel paese con dei visti ad uso turistico.

La storia del gruppo è interessante perché questi ragazzi, capitanati dalla vocalist Ellian Tulve, già da tempo avevano ottenuto una serie di attenzioni da band piuttosto influenti nel panorama rock psichedelico: da Anton Newcombe dei Brian Jonestown Massacre ai Black Rebel Motorcycle Club, senza considerare il grande feeling nato con il regista Jim Jarmusch che ha voluto prendere in prestito le loro musiche per una rivisitazione del sul grande classico “Mystery Train” (1989).

Parliamo quindi di un gruppo che si presenta a questo debutto discografico con delle belle credenziali e aspettative abbastanza alte, che vengono del tutto ripagate: “Slow Sundown” si può infatti generalmente definire come un album di musica pop psichedelica – una definizione che va intesa in senso ampio, poichè le composizioni comprendono sonorità folk e alt-country e atmosfere oscure, visionarie e cinematografiche che evocano paesaggi deserti, cowboy solitari e saloon al largo dei bastioni di Orione. Riff di chitarra essenziali al punto giusto contornano la bellezza di composizioni semplici ma incredibilmente performanti, capaci di trasmettere sensazioni di calore umano e drammaticità cosmiche che non hanno nulla di patetico, come una solitudine che vuole essere stretta tra le braccia di qualche cosa di importante. Eco fantasma seguono la voce di Ellian che combinandosi con grande personalità con le suggestioni del suono trasmette un certo fatalismo tipico di quella frontiera che una volta gli americani chiamavano vecchio west.

Tutto questo però raccontato dal di dentro di un mondo geograficamente così lontano come l’Estonia e la città di Tallin nei paesi baltici in un viaggio di andata e ritorno dagli Stati Uniti d’America proprio come se il disco fosse stato scritto nella trama di un film visionario e che non esiste se non dentro questi acquerelli sonori e di cui gli Holy Motors sono il contenuto vero e proprio, più che i meri attori. Tra Morricone e Mazzy Star. Tra Jim Jarmusch e Miranda Lee Richards, Angelo Badalamenti e Chris Isaak.

80/100

(Emiliano D’Aniello)