JIM WHITE, “Waffles, Triangles & Jesus” (Loose, 2017)

Alcuni artisti sono destinati a rimanere su di una specie di linea di confine e per qualche ragione, per quanto essi possano essere bravi e dotati di una sensibilità artistica particolare e di grande inventiva, non divengono dei nomi di richiamo presso il pubblico e/o particolarmente considerati dalla critica.

Questo è il caso di Michael Davis Pratt aka Jim White. Classe 1957, nato in California, ma cresciuto a Pensacola in Florida. Trasferitosi negli anni ottanta a New York, nel corso della sua esistenza ha svolto diverse attività, tra cui quelle di lavapiatti, cuoco e costruttore di strade; attore di teatro, modello, boxer, predicatore, surfer professionista e soprattutto quella di tassista, attività che ha praticato ininterrottamente per tredici anni, prima di cominciare a dedicarsi principalmente alla musica. Senza trascurare comunque altre arti e sfogare la sua creatività in opere artistiche visuali che consistono in una serie di composizioni fatte con materiali di riciclo e che peraltro sono esibite in musei e gallerie in tutto il mondo. A parte questo è anche riconosciuto come abile autore letterario. La leggenda vuole che abbia avuto a che fare direttamente con il grande Samuel Beckett. Insomma: è sicuramente una persona che ha molte storie da raccontare. Tanto che sarebbe in questo momento al lavoro su un memoir, ‘Incidental Contact’ nel quale racconterà tutta una serie di strani avvenimenti che gli sono capitati durante gli anni in cui svolgeva l’attività di tassista a New York.

‘Waffles, Triangles & Jesus’ è il suo ultimo lavoro discografico e il suo sesto disco solista, uscito lo scorso 10 novembre su Loose Music. Il disco è stato definito dagli stessi addetti della casa discografica come un lavoro ‘bizzarro’ e allo stesso tempo affascinante e va detto che le due definizioni calzano a pennello per quello che è lo stile unico e peculiare di Jim. Un’artista che anche in questo disco attinge a piene mani dal patrimonio musicale storico americano con sonorità che potrebbero avvicinarlo a quelle rockabilly e più tradizionali di Johnny Cash ma con tonalità e una varietà di colori sicuramente più ampia di quelle del ‘man in black’ per eccellenza della musica Made in USA e una combinazione tra gli arrangiamenti minimali e tradizionali dei Black Twig Pickers e un gusto sicuramente elegante ma senza inutile sfarzo per quelli che sono arrangiamenti di fiati e archi spesso gioiosi e a tratti psichedelici (‘Prisoner’s Dilemma’), tanto da evocare il fantasma dei Beatles (‘Long Long Day’).

In definitiva una collezione di canzoni di genere ‘americana’ e dove si alternano toni più malinconici a momenti caratterizzati da una venatura ‘pop’ e che per gli amanti del genere può essere (ove necessario) l’occasione giusta per avvicinarsi alla musica di Jim White e che in alcuni casi come la tenebrosa ‘Drift Away’, ‘Silver Threads’, ‘Here I Am’, la bellissima conclusiva ‘Sweet Bird Of Mystery’ (una delle mie canzoni dell’anno, diciamo così) ci mostrano le grandi capacità di scrittore di canzoni e di interprete di questo autore dalla creatività inarrestabile.

Emiliano D’Aniello

68/100