WILLIAM PATRICK CORGAN, “Ogilala” (BMG, 2017)

Sarà per il cambio di “ragione sociale”, per il coinvolgimento alla produzine di Rick Rubin o perchè, al momento gli Smashing Pumpkins sono in attesa di reunion, “Ogilala” può essere considerato l’ennesimo nuovo inizio di Billy (e chi ce la fa a chiamarlo WPC) e il disco della maturità. Nel mio cuore di fan dei Pumpkins so che dopo “Adore” nulla è e sarà più lo stesso per mille motivi anche del tutto insondabili, quindi questo disco non è altro che l’ennesima reinvenzione/nuova fase di passaggio di un cinquantenne che non ne vuole sapere di mettersi da parte perché è davvero convinto di avere qualcosa da dire e non può fare a meno di comporre, comporre e comporre. Meno male perché, nonostante non credo che di pietre miliari se ne vedranno più, la poetica del pelatone di Chicago è sempre forte in qualsiasi guisa si presenti.

Quando caracollava nel ritorno di “Zeitgeist”, quando non si capiva davvero dove volesse andare a parare con il progetto Teargarden By Kaleidyscope, con il bellissimo live “If All Goes Wrong”, con il convincente “Oceania”. Tutto questo mentre attorno a lui andavano e venivano batteristi (Jimmy spesso presente in realtà), band, compari, produttori, progetti non musicali, la sua vita di papà. E il fantasma delle zucche che sarà sempre lì, dietro ogni giudizio e ogni accordo.

Questo disco subisce la cura Rubin in tutto: arrangiamenti acustici in cui si alternano pianoforte e chitarra classica, scarnificazione, semplicità non semplicistica, il “cuore” di ogni pezzo a nudo con suoni scintillanti e belli chiari. E’ la qualità della composizione a cui spetta fare la differenza ed è la stessa dei migliori pezzi sparsi nei dischi scorsi. Nessuna nuova “1979”, nessun miracolo, ma pezzi convincenti che spaziano dalle torch song tristi di “Zowie” e “Manarynne”, alle rivisitazioni di pezzi già presentati live come “The Spaniards” e “Amarinthe” (la prima meno aggressiva, la seconda decisamente più d’atmosfera), a sorprese folk come “Half-Life Of An Autodidact” o la conclusiva “Archer”. C’è chi potrebbe considerarle canzoncine, ma sarebbe ingiusto: Billy, pardon, William Patrick Corgan restituisce appieno la sensazione di non essersi mai arreso e, nonostante potrebbe essere interesse solo dei fan e suscitare patetismi in tutto il resto del mondo, ci si ritrova un disco solido, dotato di visione artistica e progettualità sensata, emozioni sparse e la testimonianza di un talento che non si può mettere in discussione.

70/100

(Giampaolo Cristofaro)