Cannes chiama Kalporz: 23 maggio 2017

Se c’è una cinematografia che trovo davvero immorale (nel complesso) per il modo in cui racconta la realtà che la circonda e per lo sguardo politico che pone sul piatto della bilancia, è senza dubbio quella greca. Tra i registi che popolano la produzione di Atene e dintorni brilla a livello internazionale la “stella” di Yorgos Lanthimos, già colpevole dei vari Kynodontas, Alps e The Lobster, e ora tornato sulla Croisette in concorso con il nuovo The Killing of a Sacred Deer, che ammetto di aver saltato a pie’ pari: ci sarà sempre modo di recuperarlo, se proprio lo si dovesse ritenere essenziale. Cosa di cui dubito in modo legittimo. Al suo posto, nella mattinata, è stato possibile invece imbattersi ne L’intrusa, secondo lungometraggio di finzione del documentarista Leonardo Di Costanzo, che racconta la Napoli proletaria alle prese con la quotidianità della camorra, e con il retaggio culturale e le logiche di potere che ne determinano scelte e comportamenti. Un’opera non compiuta, anche per via di una scelta di casting a dir poco discutibile e di alcune semplificazioni che ne deturpano il potere reale, anche se viene comunque naturale difendere l’esperienza registica di Di Costanzo, del quale sarebbe da recuperare l’esordio L’intervallo, assai più maturo, doloroso e complesso. Il pubblico della sala Marriott non sembra aver gradito particolarmente, riservando al film un’accoglienza assai più fredda di quella ricevuta per esempio da A ciambra di Jonas Carpignano, per rimanere ai film battenti bandiera tricolore.

Nel pomeriggio, dopo aver preso parte rapidamente a un cocktail party organizzato dal neonato Pinyao International Film Festival, kermesse creata da Jia Zhangke con l’avallo di Ang Lee e diretta da Marco Müller, il destino ha voluto che incontrassi di nuovo il cinema di Hong Sangsoo, stavolta per godere del suo Geu-hu (The Day After), presentato in concorso: sempre uguale a se stesso, il cinema del sudcoreano Hong ha però la forza di una levità non per forza ottimista ma carica di umanità, di sincerità, di vita vissuta. Un piccolo gioiello in bianco e nero, incastonato in un palinsesto che per il resto gronda obesità sotto molti punti di vista. Probabilmente non vincerà nulla, ma resta nella memoria. Infine ieri è stata presentata quella che con ogni probabilità è l’unica proiezione in pellicola dell’intero festival: la versione restaurata di quel capolavoro immenso che risponde al nome de L’Atalante, diretto nel 1934 da Jean Vigo. Un’opera di una potenza visionaria, lirica e proletaria che lascia ancora oggi senza fiato, a ottantatré anni dalla sua realizzazione. Per chi non lo sapesse è il film da cui è tratta la celeberrima sigla di “Fuori Orario – Cose (mai) viste”, il programma di RaiTre curato da Enrico Ghezzi. E viene naturale canticchiare su quelle immagini di danze impossibili nell’acqua le strofe di Because the Night

(Raffaele Meale)