[#tbt] Billy Nicholls, “Would you believe” : piccolo gioiello perduto

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Il valore di “Would you believe”, disco di debutto di Billy Nicholls per la Immediate Records, si aggira intorno alle mille sterline. Un prezzo alto, da collezionisti maniacali. Il contenuto, ossia la musica presente all’interno, però, non sfigura. Anzi: racchiude una bellezza genuina e forse anche un po’ ingenua. Nel 1968 Nicholls è solo un diciannovenne londinese, cresciuto con i dischi degli Everly Brothers – compra il 45 giri di “When Will I Be Loved” con la sorella Sue – e dei Beatles, di Frank Sinatra, di Ella Fitzgerald e delle band swing che si ascoltano in casa, dove, bene o male, si respira musica a 360 gradi: la famiglia alla sera canta sempre ed è proprio il padre di Nicholls, musicista nella band dell’aeronautica militare (The Squadronairs, in cui suona anche il papà di Pete Townshend), ad insegnare i primi accordi su un ukulele banjo al figlio che, una volta tredicenne, compra un vecchia chitarra rotta e comincia a scrivere canzoni, registrate su un tape recorder Grundig trovato in casa, un acquisto della zia Ethel. E, un po’ per caso e per fortuna, nel 1966 avviene il grande passo: l’invio dei primi demo e delle registrazioni domestiche a George Harrison, il Beatles apprezza il lavoro del ragazzo e spedisce una serie di canzoni – “Hayfever”, “I Know My Mind”, “London Boy” e “Friends” – all’editore musicale Dick James. Nicholls viene quindi invitato a registrare nello studio di James in New Oxford Street alcuni acetati, fatti poi ascoltare alle orecchie giuste, quelle di Andrew Oldham, manager dei Rolling Stones all’epoca e proprietario della Immediate Records. Il sedicenne diventa così a tutti gli effetti un autore di canzoni (ma non recording artist) dell’etichetta, pagato venti sterline a pezzo e con un ufficio proprio, contenente un Mellotron, un Revox 636 e molte chitarre, quasi tutte appartenenti agli Stones, come racconta il diretto interessato in un’intervista a Shindig quindici anni fa (maggio 2001). L’occasione della vita non tarda ad arrivare: nel 1967 Steve Marriott e Ronnie Lane, compagni di casa discografica e rispettivamente chitarrista e bassista degli Small Faces, producono il primo singolo del giovane musicista: “Would You Believe / Daytime Girl”, pubblicato nel gennaio 1968. A cui dovrebbe seguire l’LP omonimo, cosa che invece non accadrà : vengono stampate circa cento copie del disco, distribuite alla stampa ed ai dj, ma la pubblicazione ufficiale viene cancellata da Oldham. E così, nel corso degli anni, “Would you believe” diventa oggetto di culto e di collezionismo. Quando, invece, avrebbe meritato ben altri riconoscimenti. Molti i motivi. Il più importante, banale dirlo, è la qualità del lavoro: un incrocio ben riuscito tra fanciullezza psichedelica inglese ( l’intro di “Daytime girl”, già b-side del 45 giri), sfumature folk (“Come again”) e melodie pop alla Pet Sounds (“Life is short”). Di rilievo anche la produzione, molto philspectoriana e con arrangiamenti orchestrali (voluti proprio da Oldham). Ottimi pure i musicisti che ci suonano: i già citati Marriott e Lane, Denver Gerrard e Barry Husband (ossia il duo dei Warm Sounds), Nicky Opkins, Jerry Shirley, John Paul Jones, Caleb Quaye ed tanti altri. Dispiace quindi che l’album sia stato (ri)stampato solo verso la fine degli anni novanta dalla Sequel Records. Trattasi di una vera e propria gemma perduta della psichedelia pop britannica.

(Monica Mazzoli)