PHILIP SELWAY, “Weatherhouse” (Bella Union, 2014)

weatherhouseNon è neanche da dire: siamo tutti qui ad aspettare il nuovo dei Radiohead. Che stanno registrando proprio ora, eh. Ma nel frattempo ci possiamo distrarre. Con Philip Selway più che con Thom Yorke, certo. Non sembri una bestemmia: anche Thom è tornato solista (a sorpresa) qualche mese fa con “Tomorrow’s Modern Boxes” ma pare più disconesso, più nel suo mondo.

Il batterista della band di Oxford invece ha costruito un album azzeccatissimo, una piccola opera di artigianato creato pezzetto per pezzetto, con armonia ed esperienza. Già “Familial” (2010) aveva sorpreso grandemente, e personalmente credevo che il buon Phil avesse sparato lì tutte le sue cartucce. Si poteva pensare infatti che avesse quelle canzoni lì da tempo, a sedimentare, e che le più belle le avesse raccolte in un disco che sarebbe stato – pertanto – un unicum.

Invece evidentemente Philip ha scritto tanto in questi 4 anni (ha pure fatto uscire un ep nel 2011, “Running Blind”), a tal punto che “Weatherhouse” racchiude dieci brani molto ispirati, ballate che paiono danze di fantasmi e piccoli doni confezionati con cura. Un vero “crooner” inaspettato, sul quale non avremmo scommesso la riconferma. Le voci sono sommesse, quasi arrese, particolarmente dolci: “Waiting for a sign” è un’invocazione accorata al dio del tempo, “Ghosts” quasi una reprise di “Exit music (for a film)” (l’inizio, Phil! l’inizio non puoi negare che sia un omaggio!), “Drawn To The Line” un piccolo schizzo perfettamente ambientato dal vibrafono e che si colloca vicino alla roba degli Unbelievable Truth (che è poi il fratello di Thom Yorke, si ritorna sempre lì…), e si potrebbe continuare.

Philip Selway non ha l’estro del suo cantante, non è il classico esempio di allievo che ha superato il maestro, ma semplicemente si trova in una fase artistica più a fuoco, come se fosse riuscito a racchiudere in questo album tutto quanto ha imparato nell’essere a contatto con gli altri quattro Radiohead (e dev’essere molto educativo, ci possiamo scommettere).

O, magari, anche nei Radiohead lui conta più di quanto noi avessimo mai pensato.

78/100

(Paolo Bardelli)

6 dicembre 2014