WILLIS EARL BEAL, “Nobody Knows” (XL Recordings / Hot Charity, 2013)

willis-earl-beal-nobody-knows-albumAvevo erroneamente ipotizzato che per il successore di “Acousmatic Sorcery” avremmo dovuto aspettare parecchio. Come per Cody ChesnuTT, che dal lo-fi dell’esordio al bellissimo e gonfio di soul “Landing on a Hundred” aveva fatto passare dieci lunghi anni, la mia mente si era convinta che dalla prima fascinosa e sghemba opera prima del menestrello di colore a questo “Nobody Knows”, il tempo avrebbe fatto i suoi porci comodi. Ecco invece il nuovo “Rain Dogs”.

Non chiedetemi come e perché, ma quando ho costatato che in nemmeno un anno Willis Earl Beal aveva un disco nuovo di zecca senza quella patina sporca che lo accomunava allo zio Tom, ci sono rimasto un po’ male. Ho dimenticato però che esistono i contratti discografici e che l’artista deve battere il ferro finché caldo, soprattutto quando l’ispirazione lo supporta. La mia delusione è stata quindi solamente a livello cerebrale, perché quando “Wavering Lines” (il primo brano del lotto) è partito in cuffia, tutta la disillusione si è trasformata in eccitazione allo stato puro. Una ballata con la voce senza la ruggine, potente, pulita, intensa; a cappella (solo un violino di accompagnamento) per dimostrare che la musica ha bisogno davvero di poco se è sostenuta da un’abilità di scrittura e una buona dose di passione.

Chi ha amato quindi il debutto di questo strano personaggio che sembra costruito ad arte per affascinare (la totale libertà, i foglietti con il suo numero di telefono sparsi per l’America arrivati miracolosamente alla XL) potrà anche rimanere spiazzato da come il potenziale inespresso di quei bozzetti si sia trasformato in un disco soul contaminato dal folk e da un songwriting davvero ispirato. Quello che però colpisce, in questo nuovo “Nobody Knows” è la capacità di crescere e di trasformare la bassa fedeltà (che non era un limite ma una necessità) in un pacchetto confezionato ad arte. Qui potrebbe cascare l’asino, perché tutti noi preferiamo l’irruenza a una meticolosa dose di manierismo, ma qui l’atteggiamento è dettato dagli ascolti del Nostro e da una voglia di toccare più territori rendendoli personali. La voce, quindi, su tutte, si districa in un saliscendi di emozioni Motown-Style (“Coming Throught” con Cat Power a elevare al quadrato la sensualità), cerca di coniugare il cielo al POP nella carica ed emozionale “Burning Bridges” e scende a toccare gli inferi nel blues caracollante e diabolico di “Too Dry To Cry” (come se Tricky e Tom Waits si mettessero a improvvisare davanti al fuoco in una città deserta).

Qualora questo non bastasse, il folk viene a soccorrere le anime perse che non vogliono riconoscere la grandezza (o la paraculaggine, i punti di vista sono sempre interessanti) di questa nuova voce del soul contagiato dalla nostra epoca. Modernità che si butta nel passato dei 50 (la ballata da carillon “Disintegration”) e si libera di preconcetti colpendo al cuore, solo e solamente dove fa più male (gli archi di una bellissima “Blue Escape” che se volete conquistare una donna, cosa ve lo dico a fare). All’anno prossimo,Willis? Quanto mi piace cambiare idea.

75/100

(Nicola Guerra)

2 ottobre 2013