ALUNAGEORGE, “Body Music” (Island, 2013)

2013AlunaGeorge_BodyMusic_600G040613Per citare un classico si potrebbe dire che gli AlunaGeorge “hanno visto un mercato sovraffollato e hanno detto -Anch’io!-”. Il mercato è quello del “nuovo” R’n’B specialmente statunitense, ma del quale abbiamo anche eccellenti esempi anglosassoni come Jessie Ware, che ha tratto indubitabili benefici dall’incrocio intorno a sonorità soul delle ormai più che affermate tendenze alla ricerca di una fuoriuscita dall’ormai saturo universo “step” e dei numerosi rappresentanti delle recenti, ma dalle lontane origini, produzioni hip-hop. In questo inflazionato quadro, da UK garage al cosiddetto left-field hip-hop (quello di marca Anticon per intendersi), George Reid e Aluna Francis si trovano immersi fin dal loro incontro nel 2009, anno nel quale il giovane produttore mixa una traccia del gruppo della vocalist, i My Toys Like Me: a partire da questo momento inizia una collaborazione che, passando attraverso alcuni remix, giunge al primo snodo importante con l’Ep del Marzo dello scorso anno “You Know You Like It” (il pezzo era in realtà disponibile addirittura dall’anno precedente), grazie al quale il nome comincia a girare contenendo tra l’altro tre pezzi tutti finiti in questo “Body Music”, per far infine voltare molte teste a settembre con il singolo, e gran video di accompagnamento, “Your Drums, Your Love”, numero 50 nelle classifiche UK. Squisitamente R’n’B-oriented fin dall’inizio, quest’ultimo singolo e la collaborazione, molto riuscita, con i Disclosure per la gran traccia “White Noise” facevano pensare ad una proposta certamente artistoide, un po’ variegata ma non per questo eclettica, forse in grado di sostenere la pressione dell’attesa che si era venuta a creare.

“Body Music” risponde positivamente a così alte aspettative senz’altro quantitativamente, non sempre qualitativamente. L’album è in effetti eccessivo, per i cinquanta minuti della sua durata soprattutto se parametrati sulla natura monocorde del suono proposto, e forse eccedente le qualità degli interpreti. Dopo l’inizio incoraggiante e non privo di fascino, con pezzi ottimamente calibrati sul timbro e su ritmi adeguati alla voce di Aluna Francis quali “Outlines” e “Attracting Files”, emerge infatti la peculiare staticità e e ripetitività delle basi e della produzione in generale, finendo per sottolineare anche le prestazioni buone ma sempre uguali della stessa vocalist. Tra episodi discutibili come “Superstar” e momenti assolutamente privi di impatto come la title track l’album sembra avere un sussulto nel finale con “Put Up Your Hands” pezzo accattivante e relativamente ben scritto che enfatizza la cifra intimista del cantato della Francis molto più dei tentativi di pezzi più decisamente pop-soul come la grande maggioranza di quelli che compongono il disco.

Da questo punto di vista appare migliore questa poco battuta via al songwriting e al future pop alla Purity Ring rispetto alla generale tendenza ostinatamente soul debitrice ai vari SBTRKT e Jamie Woon. Del resto la primogenitura di un’idea o di uno stile non è necessariamente un bene in termini assoluti, ma anche arrivare decisamente ultimi non è probabilmente una condizione semplice. Specie in un mercato inflazionato.

55/100

(Francesco Marchesi)

11 settembre 2013