TUSSLE, “Tempest” (Smalltown Supersound, 2012)

Se le facilonerie di associare città con dei suoni di riferimento valessero per ogni occasione si potrebbe affermare che i Tussle di “Tempest” sono una fusione di psichedelia, punk funk e atmosfere spazio-dancefloor da capogiro. San Francisco, città d’origine, è nota per l’attiva scena chitarristica (basta scrivere Anton Newcombe e osservare quante ramificazioni siano nate direttamente o indirettamente dai BJM); New York, invece, vale qui come riferimento spirituale per i trascorsi del quartetto – laddove “Telescope Mind” del 2006 era un omaggio o quasi ai Liquid Liquid, e non è un caso che il buon Sal P e soci facciano da supervisori in questo disco; resta da chiarire il ruolo di Glasgow, che tutto è fuorché città associabile in prima battuta a suoni drogofili (non serve citare le formazioni più celebri per confermare altre tendenze), ma accontentiamoci di far passare questo collegamento in maniera un po’ forzata dal momento che qui producono gli Optimo – metà, per l’esattezza – che nel piovoso capoluogo scozzese sono profeti a modo loro.

Del sound britannico che fa capolino in questo minestrone si possono citare echi di Death In Vegas e Fuck Buttons virati in salsa più danzereccia, ma continuare con elucubrazioni che rischiano di distogliere l’attenzione dal risultato finale inizia a diventare d’impaccio. Meglio, quindi, rimanere a quanto di buono questo connubio di cervelli riesce a esprimere lungo i sette pezzi che compongono il nuovo lavoro. Non si scende mai sotto i cinque minuti e questo vale già come introduzione di merito, perché i brani corrono e soprattutto scorrono via in trame ammalianti che non fanno mai accusare la durata.

I sintetizzatori disegnano soluzioni spaziali che sanno di lunghi viaggi notturni e luci al neon, i bassi profondi ne amplificano la dimensione oltre a far muovere testa e gambe. Il groove è a ben vedere il vero comune denominatore del disco: la produzione ha il pregio di accompagnare il sound dei Tussle verso lidi che sin qui si erano visti solo in lontananza, e lo fa in maniera del tutto centrata confezionando un album che si apre a un’audience obbligatoriamente affine a suoni elettronici. Qua e là si avverte la sensazione di ripescaggi in un passato fatto di colonne sonore di film sci-fi soprattutto per ciò che concerne le atmosfere, ma al banco dello studio non siedono sprovveduti e i rischi di spingersi più in là del dovuto sono ben guardati a vista.

Per questa ragione, pur non segnalandosi come un’uscita esattamente avveniristica, questo “Tempest” ha le carte in regola per ritagliarsi uno spazio considerevole tra i dischi di questo 2012, e può collocare i californiani in un’orbita ben più di spicco rispetto ai vissuti in cui dovevano ancora trovare una propria collocazione. Nella speranza che la traiettoria intrapresa possa radicalizzarsi ancora di più alla prossima fermata, magari sfruttando nuove coordinate e corridoi aerei.

69/100

(Daniele Boselli)

15 novembre 2012

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