Mi Ami 2011, Milano, sabato 11 giugno 2011

Amore bagnato, amore fortunato? Mah, il sabato del Mi Ami 2011 è stato ri-caratterizzato (visto anche quanto accaduto il venerdì…) da un tempo inglese neanche fossimo al Reading però poi, in fondo, si è trattato solo un gran bell’acquazzone di un’oretta, di quelli che vedi nei film e ti dici: “No, nella realtà non piove così”. Palchi e scalette un po’ rimescolati come nel gioco delle tre carte, ma tutto ok.
Va tutto bene tranne il polso della scena italiana espresso da questa giornata, c’è bisogno di sali belli potenti per far alzare la pressione dell’inventiva e dello spessore a questa cosiddetta “scena” di cui il sottoscritto dubita dell’esistenza. Le segnalazioni di maggior intrippamento vengono dal dream-pop dei Welcome Back Sailors, gli unici del giorno che hanno imparato a smanettare con i pomelli per fare del buon pop elettronico, che di là dalle Alpi e dall’Oceano già si fa da un bel po’, e dalla riproposizione in chiave XX dei Cure periodo “Pornography” da parte dei Be Forest. Entrambi hanno dato l’impressione di esserci, in questo 2011, ed esserci con le antenne ben dritte a cosa arriva trasversalmente da tutto il globo. Alcuni potranno dire che stiamo parlando di derivazione ma non credo assolutamente sia così, perché quando c’è pathos c’è tutto, e l’approccio di entrambe queste due band era quella di fare con passione delle cose importanti che lascino traccia dell’oggi.
Gli emiliani Welcome Back Sailors, cancellati dal palco della collinetta e recuperati alle 22:30 nel palco-mini a fianco del Magnolia (il Palco Torcida), riescono a catturare lo sguardo melanconico che scruta all’orizzonte, i pensieri rimescolati, le budella aggrovigliate. La voce di Danilo Incerti è espressiva al massimo, e i due sono ancora più bravi quando riescono ad alternare le loro invocazioni pop con passaggi più distorti il che peraltro avviene solo poche volte, però la loro elettronica “pastosa” da post-Kid A è il giusto modo di portare il sogno flower-power dalla California fino alle “spiaggie” del Po. Adolescent-A.
I pesaresi Be Forest invece si presentano in tre con un’indubbia perfezione di physique du rôle: tra l'”anoressia” della bassista Costanza Delle Rose e la timidezza indie del chitarrista/batterista Nicola Lampredi si staglia, al centro, la maggiore importanza della batterista/chitarrista Erica Terenzi, il che conferisce al trio una difficilmente replicabile combinazione di look da indie-band. Musicalmente, certo, i Cure hanno già fatto tutto ciò nel 1982, ma i Be Forest ci aggiungono delle pause che allora non c’erano e che conferiscono respiro, consapevolezza e un senso di maggiore frugalità, mentre allora imperava invece un’imponente disperazione. Oggi quell’angoscia dark si è trasformata in dolce e oculata mestizia, e anche i Be Forest si incamminano su quella strada. Quando lasceranno quella posa affettata e uccideranno definitivamente Robertino Smith, beh, ne sentiremo ulteriormente delle belle.
Premio per la maggiore originalità della giornata va invece agli Iori’s Eyes, e si sa: il duo (dal vivo in tre con batterista) che attira sempre più attenzioni riesce a spaziare tra Anni ’80 e punk-funk senza dar di gomito troppo a riferimenti precisi (tranne ad un approccio latamente My Awesome Mixtape). Si badi bene: originalità non vuol dire bellezza.

Per il resto molti gruppi del Palco Pertini sono scivolati via come “lacrime nella pioggia” (cit.): The Charlestones non riescono andare oltre l’essere dei Kooks di provincia, gli Zabrisky hanno approcciato in maniera troppo debole il palco, probabilmente anche a causa della pioggia che ha messo in forse il loro show, e pure con diverse sbavature soprattutto negli stacchi, gli Smart Cops ok non male, ma il loro punkettino l’abbiamo già bell’e che sentito da mo’. E poi: ma gli Smart Cops non hanno fregato i pantaloni di scena ai Carabinieri? Non visti i LNRipley, peccato.
Sulla Collinetta non è andata meglio: Il Cielo di Badgad non ci hanno fatto venir voglia di ascoltarli più di 5 minuti, i Radio Days sono musicalmente preparati ma ci mettono un cuore da cover band, mentre salviamo i Majakovitch per la “pacca” e diamo un bel “to be continued” a Banjo Or Frekout che abbiamo praticamente perso vista la contemporaneità con gli Welcome Back Sailors. Il pezzo o poco più ascoltato di Banjo Or Frekout non è che ci abbia particolarmente impressionato, però.
Ultima segnalazione per i Casino Royale. Non sono il mio genere, e prima del live non avrei scommesso due lire (vanno di moda ultimamente le scommesse…) su di loro. Invece i milanesi hanno letteralmente scaldato l’atmosfera, e ce n’era bisogno, saltellando dalle loro cose ultime (“Io e La Mia Ombra”, 2011) fino a tornare indietro ad “Anno Zero”, era il 1995. Gli interi Anni Novanta si sono rimaterializzati, e non è stata una brutta sensazione. In fondo il passato non è né brutto né bello, è semplicemente immutabile: è il passato. Che non si giudica.

(Paolo Bardelli)

12 giugno 2011

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