THE RURAL ALBERTA ADVANTAGE, “Departing” (Saddle Creek, 2011)

La forza di “Hometowns”, album d’esordio dei canadesi Rural Alberta Advantage, risiedeva nelle immagini, in quei fotogrammi sfumati eppur cosí nitidi, che la sgraziata voce di Niels Edenloff era in grado di evocare: cartoline di giornate che si ripetono all’infinito nell’indolenza tipica dell’etá adolescenziale, scatti di pomeriggi passati a gironzolare senza meta con gli amici nella propria cittá natale. Attraverso la forza di quelle immagini una proposta musicale non originalissima (una sorta di garage folk, a metá strada tra i Neutral Milk Hotel ed i Pixies), ma ottimamente confezionata, era riuscita a farsi largo nella scena underground fino ad ottenere la benedizione della critica di nicchia. Gli splendidi cori di Amy Cole, che di volta in volta si spostava dalle tastiere al violino, decoravano le pareti delle canzoni con una certa eleganza, mentre l’ossessivo rullare di Paul Banwatt smuoveva i brani dalle radici, tanto da scomodare paragoni importanti (su tutti il nome di Scott Devendorf dei National).

É difficile prescindere dalla scoppiettante opera prima per giudicare “Departing”, il secondo album dei Rural Alberta Advantage, che arriva ad un anno di distanza dal tanto acclamato disco d’esordio.
Al cospetto della precedente l’ultima fatica della band canadese finisce giocoforza per sfigurare, in primis per il colpevole spostamento del baricentro da un tessuto sonoro fatto di chitarre angolose e sferzanti incursioni di batteria ad un canovaccio piú cauto e riflessivo, percorso da romantici equilibri ma orfano di quella caustica vivacitá che ne aveva decretato le fortune. Le accelerazioni rock che alteravano il quieto incedere delle ballad dei Rural non costituiscono piú l’asse portante del disco. Ne ricompaiono sprazzi sparsi qua e lá ma, di fronte alla freschezza compositiva del primo cd, pezzi come Under the Knife o il fast-tempo di Music Relaxants perdono inesorabilmente il confronto.

Per assurdo, sono proprio i pezzi piú lenti e di ampio respiro quelli che risaltano maggiormente in “Departing”. L’iniziale “Two Lowers” parte con uno strimpellamento di chitarra da “seduti in cerchio intorno al fuoco”, per assumere presto i contorni di un’irresistibile ballata minimalista, accarezzata dall’inizio alla fine da un velo di trasognato romanticismo. La conclusiva “Good Night” recupera le immagini care alla band, in uno spleen acustico che ci narra di eterne fughe dai freddi sobborghi canadesi, e delle infinite nostalgie che queste fughe comportano, facendo saltare subito alla mente tematiche giá espresse divinamente dai conterranei Arcade Fire, nello splendido The Suburbs.
Alla forza dei versi del pezzo conclusivo fanno peró da contraltare alcune liriche davvero troppo scontate (si perde il conto degli “I hold you tight” sparsi per il disco), che mostrano un Niels Edenloff in difficoltá al momento di discostarsi dalle sfumate fotografie della sua amata Alberta.

Fotografie che hanno peró ancora la forza di ammaliare in pezzi come “Barneys Yard”, un ruspante ritratto della vita di periferia che galoppa agile sulle praterie canadesi, o “Tornado 87”, che narra con drammatica urgenza di un amore spezzato la notte in cui un tremendo tornado colpí la cittá di Edmonton, uccidendo 27 persone.
Nota di merito va infine al singolo di lancio “Stamp”, dove ricompare finalmente l’infuocato drumming di Paul Banwatt che, insieme alla manciata di pezzi giá meritatamente chiamati in causa, permette a “Departing” di guadagnarsi un’ampia sufficienza, con l’auspicio che la band canadese possa presto ritrovare un po’ della propria aggressivitá compositiva, in definitiva un po’dello smalto perduto.

65/100

(Stefano Solaro)

23 marzo 2011

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