TUPOLEV, “Towers of Sparks” (Valeot Records, 2011)

La musica strumentale gioca spesso la carta della trasfigurazione dell’immagine; un gioco facile che attraverso la dinamica del crescendo, riporta al nostro cervello immagini che in quel momento di estasi sono l’unica rappresentazione possibile. Succedeva e succede nella musica dei Mono, dei Mogwai, degli Explosion in the Sky, come nei nostri Yellow Capra. Ma la musica del quartetto austriaco attivo dal 2002 con il nome Tupolev (alcuni responsabili del progetto hanno dato il loro apporto collaborando con i nostri Port-Royal) non porta la nostra mente verso un idilliaco punto di trance attraverso la musica, ma la seziona in piccole parti di melodia. Pieni e vuoti, rumori bui e silenzi, pianoforti da club privè in lande desolate e malinconia che si riappropria del proprio significato quando, aprendo la finestra, il suono che abbiamo metabolizzato in questa mezz’ora scarsa è effettivamente quello che vorremmo percepire. Nonostante i rumori sinistri nascosti in “Towers of sparks 1”, le aristocratiche aperture jazzate di “Tower of Sparks 2”, il pianoforte che concede spazio alla batteria per poi azzuffarsi in un concitato ensemble di matrice sperimentale, la pazzia che si diffonde nell’aria nella conclusiva “Juno” e il delicato violoncello che, come un sole d’autunno, fa capolino qua e là in questo bizzarro connubio di classica e jazz destrutturato, che aliena corpo e mente senza nemmeno chiedere permesso. Un buon disco da camera con sparuta luce che illumina lo sguardo. Ovviamente assente.

60/100

(Nicola Guerra)

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