HOLE, Nobody’s Daughter (Cherry Forever, 2010)

“Sdraiata sul fondo dell’oceano affoga senza speranza di essere soccorsa la figlia di nessuno, che non è mai stata e mai sarà schiava di qualcuno che lei stessa non possa uccidere…”. Si apre così l’ultimo album di Courtney Love e delle “sue” Hole.

Dopo lunghi e travagliati anni di silenzio la vedova di Kurt Cobain torna a vestire i panni della bambina cattiva nelle undici tracce che compongono il suo ultimo interessante “Nobody’s daughter”, scritto in collaborazione con i redivivi Linda Perry (4 Non Blondes) e Billy Corgan.

Courtney Love torna dunque al suo amato rock fatto di chitarre distorte e taglienti, ritmi incalzanti e riff orecchiabili con una formazione inedita (Miko Larkin alla chitarra, Shawn Dailey al basso e Stu Fisher alla batteria), la rabbia di una teenager senza orizzonti, la maturità di una donna reduce da un percorso di redenzione e la rassegnazione di un angelo caduto sul fondo di un oceano ed ora alla disperata ricerca di una superficie irraggiungibile.

La leader delle Hole nella versione di “rockstar maledetta” non è sicuramente una novità. Sin dall’album di esordio “Pretty on the inside” la fanciulla non ha mai nascosto il suo lato oscuro fatto di eccessi e trasgressioni. Il diavolo del rock però fa le pentole ma non i coperchi e, quando il contenuto del calderone di Courtney Love ha raggiunto il bordo, la discesa nell’abisso è stata rapida ed inarrestabile. La ricetta apparentemente perfetta di “sesso, droga e rock’n’roll” ha finito per tracimare.

Il periodo trascorso da Courtney Love in una clinica per disintossicarsi dai suoi eccessi ha segnato non solo il suo percorso di redenzione ma anche la genesi compositiva di “Nobody’s daughter”, nato proprio tra le pareti della clinica che ospitava la cantante. Sebbene le musiche risentano dell’influenza dei due coautori e risultino dicotomizzate tra ballads con chitarra acustica (nello stile 4 Non Blondes) e brani più aggressivi dal sapore gotico ispirati al sound degli Smashing Pumpkins, i testi sono il “piatto forte” dell’album: ironici e trasgressivi, alternano invettive trasudanti odio (la title track “Nobody’s daughter” su una solitudine desolante e opprimente) a malinconici lamenti (“Honey”, dedicata ad un amore non ben definito ma sottointeso; “Someone else’s bed” scritta per un amore concluso senza mai essere iniziato), critiche disincantate (“Loser Dust” sulla figura di un eterno perdente senza possibilità di riscatto) a favole horror (“Skinny little bitch”, il primo singolo del disco), memorie del suo passato (“Pacific coast highway” dedicata al marito defunto) a storie piccanti (“How dirty girls get clean”). L’immagine di Courtney Love che emerge da questo suo ultimo lavoro è quello di una rockstar si “maledetta”, ma dotata di una maturità e consapevolezza nuove.

La musica si dimostra ancora una volta insostituibile valvola di sfogo, ancora di salvezza inaspettata, alfa (e forse omega) dell’esistenza di un artista, pioggia per un fiore (quello di Courtney Love) cresciuto nel deserto e sopravvissuto, suo malgrado, a mille peripezie. Servirà ancora molta acqua (e sole!) alla rosa di Courtney Love per poter sbocciare in tutto il suo splendore ed essere ammirata senza pungersi (come profetizza la copertina di “Nobody’s Daughter”). L’energia però le basterà, almeno per ora, a darsi una spinta e ad uscire con la testa fuori dall’oceano in cui si era arenata, poi si vedrà.

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