In ognuno di noi c’è una creatura selvaggia

C’è un film di cagnoni con le corna e di bambini che è arrivato lo scorso weekend nelle nostre sale che è uno spettacolo di fantasia ed immaginazione: è “Where The Wild Things Are” o meglio, nella traduzione italiana, “Nel Paese delle Creature Selvagge”. Un delicato affresco dell’infanzia tratto dal libro illustrato di Maurice Sendak del 1963, autore che ha collaborato con Spice Jonze alla realizzazione del film.

E il nome di Spike Jonze dovrebbe far drizzare le orecchie a molti appassionati musicofili: oltre ad essere il regista della concretezza surreale di “Essere John Malkovich” (1998) è il director di numerosi videoclip, partendo da “Cannonball” dei Breeders (1993), passando per "Shady Lane" dei Pavement (1997) e arrivando a Beck (“Guess I’m Doing Fine”, 2002) e Kanye West (“Flashing Light”, che il sottoscritto ha inserito nei video più belli del 2008 nei propri Musikal Awards).

Anche per “Where The Wild Things Are” Jonze ha finito per costruire un enorme, lungo videoclip: le immagini del mondo incontaminato di Max scorrono e fanno quasi da sfondo alla colonna sonora opera di Karen O degli Yeah Yeah Yeahs accompagnata per l’occasione, oltre dai soliti colleghi Brian Chase and Nick Zinner e dall’ex chitarrista Imaad Wasif, dall’attuale “Re Mida” dell’indie Bradford Cox (Deerhunter, Atlas Sound), Aaron Hemphill dei Liars, Dean Fertita dei Dead Weather’s e Jack Lawrence dei Raconteurs.

Una soundtrack con nomi di richiamo, con molta chitarra acustica e dei bei cori di cinni urlanti.

Dal punto di vista strettamente cinematografico il film forse è un po’ slegato, in alcuni punti troppo “cartolina” (gli innumerevoli controluce e tramonti) e troppo “lavorato” (Jonze ha cambiato in corsa la produzione, dall’Universal alla Warner Bros.), ma ha il grande merito di toccare corde mai sopite che risuonano ancora dentro di noi se qualcuno le fa vibrare, quelle della fervida immaginazione che tutti hanno, chi più chi meno, da fanciulli, e che è valvola di sfogo per la solitudine o per l’insoddisfazione che si può provare anche a quell’età. Poi si cresce, inesorabilmente, e ci si avvicina ad altri passatempi di distrazione, forse anche alla musica, ma questo è un altro discorso.

Il film rimarrà dunque un piccolo cult-movie incompleto, particolarmente fascinoso per quando si vuole ritrovare il fanciullino e più ordinario se si valuta con il naturale metro di giudizio del fruitore di un film: la sceneggiatura, il ritmo, ecc. Ma c’è una cosa che, a mio modesto parere, rimarrà negli annali: è il trailer del film, con un inizio da brividi (il bambino in groppa al “cagnone” Carol che lo rassicura: “Non volevo svegliarti, ma c’è qualcosa che devi proprio vedere”) e una versione alternativa, fatta apposta dagli Arcade Fire per il film, di “Wake Up”.

Un trailer che rimarrà sempre in un cantuccio del nostro cuore di creatura selvaggia.

(Paolo Bardelli)