PHOENIX, Wolfgang Amadeus Phoenix (V2, 2009)

Ci sono sempre stati nel calcio quegli attaccanti ai quali, indipendentemente dalla categoria, dall’andamento della stagione, dalla forza dell’avversario e dalle condizioni meteorologiche, bastano cinque minuti per buttarla dentro. I Phoenix sono così. La buttano sempre dentro. Sono partiti forte, hanno passato periodi di assestamento, ma, alla fine, conti alla mano, hanno sempre portato a casa il risultato.

“Wolfgang Amadeus Phoenix” è genialità pop macchiata di quel french touch che i nostri hanno incarnato fin dalla nascita. Parentesi beatlesiane (“Love Like a Sunset”) e quadretti indie-rock (“Lasso”) si alternano in un continuum vario ma capace, allo stesso tempo, di sembrare sempre uguale, di assomigliare in tutto e per tutto agli album precedenti. E sembra echeggiare ancora “Everything Is Everything” (“Alphabetical” – Source, 2004), semplice, ripetitiva, azzeccata. “1901” è un irresistibile frutto primaverile, parente stretto di “Toop Toop”, traccia di apertura di “15 Again” (Virgin, 2006) dei Cassius. “Fences” è il marchio di fabbrica french-funk-rock che, insieme a “Lisztomania”, ribadisce l’inconfondibile suono dei ragazzi di Versailles. Un suono indie che ha tanto a che fare con la tradizione elettronica francese, che strizza l’occhio continuamente a nobili ed eleganti giretti house che però non si materializzano mai (fa eccezione, in questo senso, una sezione dell’ottima “Love Like A Sunset”).
Certo, sono cool i Phoenix; sono il massimo per qualsiasi universitario eternamente in Erasmus, giramondo, fissato col vintage e con la musica più giusta. Sono cool, ma considerali solo per questo, credetemi, sarebbe riduttivo. La verità è che i Phoenix sanno suonare, creare, costruire ed oggi sono gli alfieri, insieme ai Cassius (non a caso Philippe Zdar ha collaborato alla produzione di quest’ultimo lavoro), di quello che, senza troppa fantasia potremmo chiamare “post french touch”.

Tornando alla metafora calcistica possiamo dire che certi attaccanti, indipendentemente dalle doti tecniche, dal carattere, dalla correttezza, dalla levatura morale e da come si comportano nella vita privata, sono apprezzati dal pubblico, dall’allenatore e dai colleghi; ognuno di loro li ama per motivi diversi. Alla fine però, tutti sono assolutamente d’accordo su un punto: questi sono giocatori utili, giocatori che servono alla propria squadra, che portano persone allo stadio.

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