CAMERA OBSCURA, My Maudlin Career (4AD, 2009)

Se fossero una stagione, i Camera Obscura sarebbero in fiore. “If you were a season, you would be in bloom”: le prime parole di “You Told A Lie” ci forniscono l’incipit per la nostra recensione perché noi ne abbiamo poche, di parole. Siamo ancora ammaliati dai colori che sfavillano da “My Maudlin Career” da non riuscire a descrivere con compiutezza il groviglio di sentimenti che trasmette questo quarto album degli scozzesi. Sono sempre loro, i Camera Obscura: eterne, malinconiche ballate dal gusto agrodolce che raccontano di storie d’amore piene di vitalità ma anche di complicazioni, innamoramenti e sconvolgimenti che lasciano il passo a rimembranze al passato, alla sofferenza del rimanere amici dopo essere stati amanti (“Careless Love”, “James”), alla difficoltà di controllare ciò che si prova, soccombendo, alla fine, come al solito (“I wanted to control it / But love, I couldn’t hold it”, cantano in “French Navy”). E il “sangue si ghiaccia come un fiume a Toronto” (“Forest And Sands”).

Le canzoni di “My Maudlin Career” sono allo stesso delle cartoline sdrucite, delle foto consumate, e dei fuggevoli cortometraggi in presa diretta, in tempo reale, di storie d’amore che nascono, si affastellano e muoiono.
Pur rimanendo fedeli agli abbozzi indiepop alla Belle And Sebastian, i Camera Obscura si fanno però ancora più classici, orchestrali, verrebbe da dire quasi tendenti agli Anni Cinquanta americani come in un’ipotetica colonna sonora di un qualche episodio di “Happy Days”. Alle volte il registro si fa più “tonico”, leggermente sollevato (“Swans”, “Honey In The Sun”), ma questi episodi sono solo brevi apparizioni sul palco fieramente agghindato da “piccolo dramma quotidiano” messo in scena dai Camera Obscura.

“E’ stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati?”, si chiedeva un mio amico. Ecco, questa è la domanda che gira eternamente tra le note di “My Maudlin Career”, in bilico tra l’inevitabile delusione per l’eternità mancata e la potenziale consapevolezza della bellezza dei singoli momenti. Una domanda che – anche per Camera Obscura – rimane, e rimarrà, senza risposta alcuna.

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