ONE DAY AS A LION, One Day As A Lion EP (Anti, 2008)

Le creature sono tutte attorno, per strada, negli uffici, nella tv, nella rete, li circondano, li braccano per afferrarli per i capelli e nutrirsi delle loro cervella. Loro, Zack de la Rocha e Jon Theodore, si sono asserragliati nell’ultima emittente radio libera sul pianeta, a Los Angeles. Porte e finestre sbarrate con assi e chiodi, continuamente percosse dai mostri nel tentativo di divellere l’ultima resistenza. Dentro ci sono solo loro e la loro strumentazione, batteria, sintetizzatori e microfoni, lo stretto indispensabile per proseguire la guerriglia, tentare di risvegliare qualcuno o farla finita per sempre con un ultimo giorno degno di essere vissuto. “You are not a slave”, c’era scritto in un vecchio booklet dei RATM. Di nuovo quelle parole, sputate sopra increspature elettriche grezze e sepolcrali. Il drumming insiste con una cadenza disperata nel tentativo di rianimare, di riavviare il battito cardiaco. Pulsa sangue tra le pieghe del fantasma hip hop che propaga uno degli ultimi canti liberi.

Fuori intanto gli zombie hanno occupato gli uffici della radio, rovesciano le scrivanie, divorano i cadaveri che trovano, con lo stereo acceso ascoltano i loro simili che hanno rimesso su le parrucche degli anni ’80 e i trucchi dei ’70. L’ultimo dei Metallica sparato a mitraglia dalle emittenti in loro pugno li fomenta, li unisce, ci si riconoscono, quello sono, zombie, poco altro, ma sono tanti e comandano loro, ora. Dentro i due superstiti, gli ultimi due uomini della Terra, vendono cara la pelle, assestano colpi feroci e sconquassanti, “Wild International” la rovesciano su orecchie malcapitate che devono scegliere se evitare il confronto o contrattaccare. La brezza di “Ocean View” ricorda i giorni in cui ci si credeva liberi e leoni e stringe i pugni per difendere l’ultima chance rimasta, riesumando Led Zeppelin e Soundgarden ma giocando sempre e solo con tre elementi (TRE) e con suoni che sembrano venire da scarti di un negozio di forniture elettroniche (alla faccia delle invenzioni soniche dei vecchi sodali). “Last Letter” sembra il testamento di un dinamitardo, pistola puntata alla tempia e occhi fissi sulle ultime parole scritte nervosamente a penna, frantuma i nervi sferragliando e urtando in ogni direzione.

Di là, intanto, le creature sono aumentate e sembrano aver trovato un capo, un leader. Veste meglio, ha la giacca blu e un sorriso inquietante come quello dei suoi simili che conducono l’olocausto in tv. È lui a dirigere le operazioni. Gli zombie non ce la fanno da soli, non distinguono un cuscino del divano dal loro culo. Ma a questo servono i leader. Eccoli allora, coordinati dai suoi ordini. Costruire un ariete per sfondare la porta e difendere l’Ordine dai sovversivi, dai diversi, dagli anarco-insurrezionalisti, dai no-qualcosa, dagli stranieri.

Dentro invece Zack e Jon sembrano trovarci gusto e con “If You Fear Dying” recuperano ed essiccano l’essenza dei RATM per portarla di nuovo in tavola sperando che il suo sapore amaro vada di traverso ai commensali. “One Day As A Lion” gioca invece tra ritmica hip hop, accenni astratti di melodia ed esplosioni telluriche.

Alla porta gli zombie continuano a colpire sotto gli occhi di chi li dirige. Una crepa si estende ora lungo il pannello che sembra ormai sul punto di contorcersi tutto. Ancora un colpo, la porta viene giù, le smorfie delle bestie emettono un gemito che dovrebbe sembrare un grido di vittoria…

Fine delle trasmissioni.

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