DEUS, Vantage Point (V2, 2008)

Cominciamo con una considerazione tanto facile quanto significativa. Tom Barman ci ha messo sei anni per decidersi a tornare in pista con la sua creatura più conosciuta ed apprezzata (con “Pocket Revolution”) e dopo nemmeno due anni, la seconda vita dei dEUS può vantare un nuovo capitolo: “Vantage Point”. E’ il risultato di una ritrovata armonia, merito anche di una band ormai collaudata e con cui il leader maximo riesce a rapportarsi talmente bene da accorciare i tempi una volta biblici dei suoi lavori.

Se vogliamo, “Vantage Point” ha un obiettivo chiaro e preciso, frutto di una maturazione che ha portato la band belga a mettere da parte l’imbuto sonoro in cui facevano confluire qualunque cosa e che poteva rappresentare anche un ostacolo per qualche categoria di ascoltatori. Per certi versi è un passo avanti, ma se il pacchetto sembra confezionato meglio, le canzoni non sempre sono all’altezza della situazione. Mi spiego. Per molti, il precedente “Pocket Revolution” è stato un lavoro intermittente, quasi un nuovo parto con la sua dolorosa gestazione e la voglia di dimostrare tipica dell’esordio/non-esordio. Tutto giusto, ma in quell’album c’erano canzoni che lasciavano il segno come “Bad Timing”, “Sun Ra”, “7 Days, 7 Weeks” e “Nothing Really Ends” (… e qui qualcuno di mia conoscenza smetterà di leggere). Pezzi che potevano essere accostati alle varie “Suds & Soda”, “Instant Street” o “Little Arithmetics” senza eccessivi timori reverenziali. Non che “Vantage Point” manchi di bei momenti, tutt’altro: si pensi al singolo apripista “The Architect”, pezzo atipico ma capace di crescere e di insinuarsi nella testa ascolto dopo ascolto, o alla ballata “Eternal Woman”, con una melodia talmente immediata da far spavento.

Però, il livello medio generale sembra essere leggermente più basso. Chiaro che dai dEUS – o meglio, da Tom Barman himself – ci siamo sempre aspettati il massimo o comunque qualcosa capace di spiazzare e di stupire e che forse non siamo ancora in grado di accontentarci. Ricapitolando: se da un lato c’è un disco stranamente omogeneo, dall’altro abbiamo un livello medio leggermente più basso per un album che vive sì di grandi picchi, ma anche di momenti che si potrebbero addirittura skippare. E questo, se permettete, non è proprio una cosa da dEUS.

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