BRITISH SEA POWER, Do You Like Rock Music? (Rough Trade, 2008)

Do we like rock music? Se l’eccentricità dei British Sea Power non fosse mai stata presa in considerazione, qual miglior modo per ribadirla con un titolo tanto ironico quanto all’apparenza insensato? Il (nuovamente) quartetto di Brighton riparte da qui per provare a piazzare finalmente un disco da classifica senza tradire comunque i propri intenti. Il precedente “Open Season” aveva in parte diviso critica e fans, accantonando la brillante schiettezza punk del fulminante esordio in favore di canzoni più pesanti negli arrangiamenti che mostravano comunque un songwriting più maturo e senza timori. Ritorno alle origini o piede premuto in quella direzione? Un po’ e un po’. Questo disco è l’immagine più riuscita di quello che i BSP sono e, a questo punto, vogliono essere.

Via da quel circolo vizioso di archi ed epicità all’inglese che ha sotterrato i Manic Street Preachers sotto una coltre di stucchevolezza, il sospiro di sollievo è a pieni polmoni. “Lights Out For Darker Skies” (che riscrive la classifica dei loro migliori titoli) parte secca con un incedere serrato disegnato da un ottimo riff di chitarra, prima di smorzarsi in strofe dal gusto retro a-la Pulp che sfociano in ritornelli di pregevole fattura. Non cala il tiro con “Waving Flags” (tolti i primi, pacchianissimi, venti secondi che si ripetono a metà), che cavalca la linea del tempo puntando sulla celebrazione di un passato, nelle sonorità e nei contenuti, tanto caro alla band. Il punk si tocca fin troppo con mano in “Atom”, ritmica ossessiva ma riff e strofe davvero al limite del plagiare i Buzzcocks di “Everybody’s Happy Nowadays”. Certi parallelismi con gli Echo & the Bunnymen si avvertono ancora in “Canvey Island” mentre “Down On The Ground” e “No Lucifer”, con Hamilton alla voce, rappresentano due episodi azzeccati che crescono con gli ascolti, cancellando la non immediatezza che rivelano a primo impatto. Anche “A Trip Out”, con una struttura che sembra non scindere distintamente strofa e ritornello, si svela lentamente. Colpisce invece all’istante, e non poteva che essere altrimenti visti i rimandi, la splendida ballata “Open The Door”. Con una chitarra nel riff e nell’assolo che sa di Dean Wareham (del primo periodo Luna) allo stato puro, il jolly (personale) è presto calato. Si chiude però con una delusione: “We Close Our Eyes”, riprendendo l’intro al disco di “All In It”, non segue le gesta di “True Adventures” su “Open Season”, marcando l’album con un finale assai poco riuscito.

Alla luce di tutto questo, comunque, l’Inghilterra post 2000 riconferma i BSP come una realtà solida e soprattutto credibile. E la prova della maturità a questo giro non può che considerarsi superata.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *