PERTURBAZIONE, Pianissimo fortissimo (Capitol / EMI, 2007)

Sono i piccoli particolari che ti raccontano se sei ancora innamorato della persona che hai al tuo fianco, o se tutto sta finendo. Annusare il cuscino e cercare il suo odore. La volontà che scappa via, perché rivedersi è come pizzicare un nervo nascosto. Capire che “invecchiare insieme a me dev’essere un’idea terrificante”. Una casa lasciata vuota per qualche ora e non per caso, chinarsi a dividere i libri e chiedersi a chi appartenevano, e sapere, dentro di sé, che certe parole non si riuscirà mai più a dirle a qualcuno. Specchiarsi in una vetrina e dirsi che è il momento di tornare a essere felici: sono particolari piccoli, quasi da nulla, ma che dicono molto di più dei pensieri, delle sensazioni che crediamo di avere.

E “Pianissimo fortissimo”, il quinto album dei Perturbazione, elenca tutto questo, gentile, con un sorriso malinconico e leggero, perché i cieli neri di “Canzoni allo specchio” se ne sono andati via; sono diventati grandi, i sei ragazzi di Rivoli, hanno perso per strada la voglia di giocare che faceva capolino durante “Waiting to happen” o “In circolo” ma hanno ancora la stessa sensibilità, e quella capacità di essere tristi senza soffocare. Sanno come emozionare senza alzare la voce: lo hanno sempre saputo fare, e in queste dieci canzoni ora più che mai.

L’inizio è folgorante: rullante e battimani, una persona che compare all’improvviso e ti stacca dalla realtà immergendoti nei ricordi che avevi nascosto (“Un anno in più”); invecchiare e sorprendersi sempre più esigenti, perché “l’attenzione è un distillato che ti vendo un po’ più caro del giorno prima” (una “Nel mio scrigno” solidamente rock nell’intreccio di chitarre); la polvere che si solleva, Calvino e Prevért, i libri che non sono più frasi da citare ma oggetti che indicano la fine di un amore (“Leggere parole”, una splendida bossanova); un meraviglioso fraseggio di violoncello, la risata argentina di Elena in sottofondo e ridere perché, chissà come mai, tutti hanno buoni consigli quando tu non ne vuoi sentire (“Battiti per minuto”, che a Sanremo è rimasta fuori dalla porta).

Se tutto “Pianissimo fortissimo” fosse così, sarebbe una meraviglia: e invece cede un po’, lagnandosi nell’allungarsi rock di “Qualcuno si dimentica” o nella dimessa “Casa mia”, diventando inconsistente in “On/off”, promettendo una bellezza mantenuta solo nel titolo (“Controfigurine”); poi, però, si risolleva in “Brautigan”, con quel violino che cresce e si sfoga liberatorio, o in quella “Giugno dov’eri” che, con quel pianoforte e un’orchestra timida, arriva da altri tempi, quando la musica leggera italiana aveva un cuore.

Ed è sugli ottoni di questa canzone che ti accorgi che “Pianissimo fortissimo” ti ha abbracciato, in silenzio. E che, d’ora in avanti, sarà molto difficile farne a meno.

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