NEIL YOUNG, Living With War (Reprise / Wea, 2006)

Perché? Per sollevare la propria (autorevole) voce contro un presidente talmente ottuso da risultare un fumetto vivente, per ribadire che bisogna stare attenti alle patetiche panzane che costui rifila ai suoi compaesani e al mondo intero, per ricordare che c’è della gente che ne fa le spese pagando con la vita. Questo è chiaro.

Ma perché far uscire un nuovo disco a soli 7 mesi di distanza dall’ultimo (“Prairie wind”), Neil? Lui risponderebbe che ne sentiva semplicemente il bisogno. Non sono in molti a potersi permettere di soddisfare le proprie urgenze creative registrando e pubblicando nuovo materiale in tempi strettissimi (Springsteen lo ha fatto da poco con le Seeger sessions). Neil dal canto suo ha chiamato Chad Cromwell alla batteria, Rick Rosas al basso, ha radunato un coro di 100 voci, ha acceso l’amplificatore e ha fatto partire i nastri.

”Living with war” ci ricorda che raramente il canadese fallisce quando segue il proprio istinto senza rimuginare più di tanto, senza cambiare continuamente le carte in tavola e lasciando che sia quel che sia. E’ un album semplice, a tratti forse anche sempliciotto e populista nei testi, ma di un’immediatezza da non sottovalutare, una semplicità da grande disco folk (Neil stesso ha coniato la curiosa dicitura “metal-folk- protest songs”), una rabbia d’altri tempi.

Ci si può avvicinare a “Living with war” con scetticismo e con la dovuta precauzione, ma sta di fatto che tra invettive dirette o scherzosamente acidule (“The restless consumer” e “Let’s impeach the president”), esplicite citazioni del primo Dylan (“Flags of freedom”, e non solo nel titolo e nella melodia), accorati appelli pacifisti (“Living with war”, “Families”) e un arraggiamento quasi gospel del secondo inno americano (“America the beatufil”), la domanda iniziale nella nostra testa si è trasformata da “perché?” a “perché no?”.

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