MOJAVE 3, Puzzles Like You (4AD / Self, 2006)

Al giorno d’oggi è difficile uscire dalla nicchia se non confezioni un prodotto che possa attirare migliaia di teenagers e far innamorare la critica al punto da incensarti talmente tanto da capovolgere la tua vita in un ristrettissimo arco di tempo. Non serve fare nomi, quei due o tre che vi sono frullati per la testa vanno benissimo. A tal proposito, noi amanti della nicchia non possiamo non ringraziare le persone dietro le case discografiche che investono soldi in gruppi che non hanno mai raggiunto un successo di vendite tale da portare grande popolarità ai suddetti. E noi, in fondo, un po’ ne godiamo anche.

E’ il caso della 4AD: non certo l’ultima arrivata, anzi, ma spesso e volentieri le formazioni accasatesi sotto questa prestigiosa bandiera della musica indipendente (che ha comunque annoverato gruppi dal grande successo mondiale) non sono uscite dalla cerchia di pochi aficionados e addetti ai lavori un tantino competenti. Ed è il caso dei Mojave 3, emersi per 2/5 (tre se si considera anche il batterista Ian Mc Cutcheon) dalle ceneri degli Slowdive e arrivati alla loro quinta fatica discografica in undici anni di carriera. Di episodi ragguardevoli e dischi bellissimi i nostri ne hanno confezionati a iosa, senza che il successo li abbia mai baciati; dalle malinconiche e romantiche ballate di “Ask Me Tomorrow” al country-folk di “Out of Tune” ed “Excuses For Travellers”, fino alle atmosfere bucoliche dell’ultimo “Spoon and Rafter”, anno di grazia 2003.

Oggi, dopo i dischi solisti di Neil Halstead e Rachel Goswell (sempre gelosamente licenziati sotto 4AD), i Mojave tornano al completo con questo nuovo “Puzzles Like You” e confermano ancora una volta tutta la loro ammirabile bontà. Messo da parte l’utilizzo massiccio di pedal steel che ha caratterizzato i lavori precedenti, il sound si arricchisce di tastiere spumeggianti e talvolta bizzarre che ricordano gli ultimi Belle&Sebastian, insieme ad atmosfere solari come mai era accaduto prima d’ora. La scrittura si discosta dalle tematiche di relazioni finite male e solitudine a cui Neil ci aveva abituato (merito forse del matrimonio fortunato che sta vivendo?): ne scaturisce un disco pop nel vero senso della parola, canzoni che irradiano luce e gioia di vivere, sempre curate minuziosamente negli arrangiamenti.

L’apertura affidata a “Truck Driving Man” vede quindi l’allegro mosaico di tastiere, rimandi country e i duetti Neil-Rachel di cui ci siamo perdutamente innamorati tempo addietro. Non è da meno la title track, che in poco più di due minuti riesce a sintetizzare alla perfezione questo nuovo e compatto sound: un pop catchy e genuino talmente bello da non voler smettere di goderne il più possibile. Il singolo “Breaking The Ice” presenta un’intelaiatura di chitarre più forte ma strizza sempre l’occhio a cori e ritornelli a presa immediata che ne fanno ormai un marchio di qualità certificata; emerge inoltre una notevole sezione di percussioni, rumorosa al punto giusto.

Che il sound sia virato, come detto, verso un pop più schietto si nota in pezzi come “Ghostship Wanting” e “Running With Your Eyes Closed” mentre non mancano comunque gli episodi più rilassati-maliconici come la dylaniana “Most Days” o la suggestiva “Big Star Baby”. Vere chicche sono invece “You’ve Said It Before” e “The Mutineer”: la prima è una delicata e avvolgente ninna nanna in cui la sensibilità di Neil è straripante; la seconda, nonché traccia conclusiva, è un altro splendido pezzo intimo e dalle atmosfere rarefatte sullo stile degli Yo La Tengo di “And Then Nothing Turned Itself Inside Out” e si fa amare per il duetto dolcissimo e romantico.

Siamo di fronte al disco pop dell’estate e chissà che non lo sia anche di questo lungo 2006. Di sicuro ora sapete a chi rivolgervi quando volete musica di qualità capace di emozionare senza fronzoli: se rimpiangete i vecchi Mojave non fategli una colpa se oggi suonano così, del resto non si può mica essere depressi a vita. E anche noi, amanti della malinconia ma sempre fedeli al pop, accogliamo questo disco a braccia aperte. “I don’t want to be the big star, baby, anyway” si canta nell’omonimo pezzo: neanche questo disco probabilmente porterà ai nostri il successo che meritano e Neil non sarà mai una stella grande.. poco importa quando si è già la più luminosa.

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