SLUGS, Bob Berdella Bizarre Bordello (Black Candy / Audioglobe, 2005)

Non sono mai stati molto accomodanti od omologabili, gli Slugs, ma in questo secondo lavoro “Bob Berdella Bizarre Bordello” hanno superato loro stessi. A partire ovviamente dal titolo, già strano di per sé, per svariare poi musicalmente dove più li portava il loro approccio maudit e il loro infinitesimale carattere. Sì perché si potrà dire di tutto degli Slugs ma non che non abbiano carattere, quell’approccio istintivo alla materia rock che è quasi un eruzione.

L’istinto è l’unico trait d’union delle undici tracce, e bisogna dirlo perché non è bello citare tutti insieme – come possibili rimandi, più o meno consci – i Guns’n Roses, Nick Cave, gli Yes, i Faith No More e i Rolling Stones. Sembrerebbe un calderone dove ogni elemento non ha nulla a che fare con gli altri, e non si farebbe un’operazione veritiera perché – in realtà – sono gli Slugs il trait d’union tra tutto. O meglio, sono magistralmente eclettici a tal punto, ad esempio, da non far sfigurare come fuori posto richiami funk dentro ad un magma garage (“So Fine”), avanguardie quasi jazz mescolate a logiche musicali tipicamente hard rock (“Sand”), riff seventies inglobati da psichedelia progressiva (“The Day They Put Down Land From Hollywood”), anzi no, un mix del genere in fin dei conti è tutta roba anni Settanta.

Sarebbe stato più comodo quindi raccontare questo album “delle quattro B”, come avrebbe potuto abbreviarlo Berlusconi per semplificarlo alle masse, definendolo il “Murder Ballads” italiano: con quel riferimento preciso, netto, definito tutti saremmo andati a letto contenti nell’aver catalogato il nuovo prodotto sfuggente. Ma non è così. L’unica certezza è che “Bob Berdella Bizarre Bordello” non riesce a scrollarsi di dosso quell’alone di album maledetto, e che – pur non riuscendo a raggiungere le vette compositive di Nico Cava (come amichevolmente potrebbe chiamarlo un traduttore automatico) – siamo davanti ad un rock talmente sanguigno e sanguinolento da sembrare un disco vero come non se ne sentivano da tempo.

Insomma le idee che giravano in testa a Martino Pompili per la stesura dei testi, ovvero che “forse i serial killers sono gli ultimi veri punk”, che la sofferenza causata dall’omologazione che ci impone la società è incarnata ne “l’uomo che uccide il suo simile, lo tortura, lo smembra, lo sevizia, lo ingerisce o lo defeca, si masturba sulle carni umide e fumanti”, beh, quest’atmosfera aleggia eccome sulle tracce di “B.B.B.B.”. Che, pur essendo un album vero, non è un disco facile. Perché si fa presto a perdersi davanti a cotanti mutamenti di prospettiva, si fa fatica a non rimanere flashati da uno stacco e poi a non storcere il naso per quello che viene subito dopo, ci si disorienta e forse anche gli Slugs a tratti disorientano loro stessi. Ma riemergono con una fucina di non-omologazione salutare per tutto e tutti. In particolare per il rock indipendente (non indie) italiota.

Una cosa è certa: vogliamo più Lumache in Italia. Vogliamo più gruppi che abbandonano la strada vecchia per la nuova come ha fatto la band di Montecchio in “Bob Berdella Bizarre Bordello”. C’è però una risposta (brutta) da dare: in realtà si va sempre più veloce e l’Italia è un paese di conservatori.

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