ALESSANDRO GRAZIAN, Caduto (Macaco / Audioglobe, 2005)

Prendete un quadrato e scrivete questi nomi lungo ciascun lato: Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati, Marco Parente, Devendra Banhart. Tracciate le diagonali e nel centro esatto dovrebbe spuntare fuori Alessandro Grazian, giovane cantautore veneto il cui esordio discografico è una preziosa folata d’aria fresca nello stagnante panorama della canzone d’autore italiana. Fondamentalmente si tratta di sensazioni ermetiche che tendono alla catarsi e che si esplicitano su testi in cui Alessandro gioca con la lingua italiana, utilizzando registri bassi e popolari insieme a termini meno intuitivi e correnti. Il tutto appiccicato con somma maestria alla musica. Il risultato è quindi un cantato melodioso che si incolla perfettamente agli arrangiamenti (curati in prima persona da Alessandro e Enrico Gabrielli dei Mariposa e Giambattista Tornielli).

Ma veniamo ai riferimenti del quadrato. Di De Andrè, Alessandro ha la scioltezza lessicale, la capacità recitativa e il piglio ironico con cui tratta tematiche non certo sorridenti (“Ammenda” su tutte). Di Fossati ha preso il distacco ermetico, parlando spesso di sensazioni personali difficilmente riconducibili ad uno scibile universalmente noto (“Santa Sala”, dedicata ad un amico scomparso). Di Marco Parente ha la stralunata visionarietà e l’eclettismo strumentale che, pur muovendosi in un terreno poco propenso alla sperimentazione (il folk), riesce a creare affascinanti ghirigori capaci di non passare inosservati (“Prosopografie”, “Vado A Canossa”). Di Devendra Banhart, infine, Alessandro riporta la musicalità della voce, la leggerezza del tocco della chitarra e la perfetta adesione delle parole alle note.

Non escludo che questo mio ardito parallelo geometrico possa risultare pretestuoso, ma se vi capita di imbattervi nel mondo di Alessandro Grazian, tutti i tasselli andranno nel posto giusto e non potrete fare finta di non notarlo. Non per la prepotenza della sua proposta, ma per la personalità insita nella sfuggevole delicatezza di questo piccolo disco. Che se da un lato parte senza premesse se non quella di descrivere il suo autore con autoreferenzialità, dall’altro sembra proprio l’antidoto per le giornate di pioggia. Pare una cosa stupida, ma ad abusarne non si corre pericolo alcuno, qui dentro c’è un mondo che aspetta solo di essere scoperto.

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