Intervista a Agostino Tilotta (Bellini)

Ha ragione Agostino Tilotta, la chitarra degli Uzeda prima e dei Bellini ora, quando dice che le sue band non hanno mai ottenuto l’attenzione che meritavano: tutti a correre dietro alla nuova sensazione pseudo-indie, mentre “Small stones”, il secondo album dei Bellini, ha una bellezza rara e una forza emotiva dirompente, anche se non se ne sono accorti in molti, finora. Agostino mi racconta, via mail, come i Bellini sono sopravvissuti all’abbandono del batterista Damon Che, di un album concepito come un racconto di un cantastorie e dell’imminente ritorno degli Uzeda. Un uomo – e una band – fiero di sé e di un percorso artistico rigoroso e inimitabile.


É ancora troppo presto per fare dell’ironia sull’abbandono di Damon Che? Volete raccontarmi cos’è successo esattamente durante quel concerto?

I turbamenti dell’animo umano sono capaci di spingere un individuo verso decisioni inaspettate che, al tempo stesso, ne rivelano tutta la debolezza e la fragilità.
Quel tour era lunghissimo (48 date in tutti gli States) e dopo 32 concerti Damon aveva già esaurito energia e volontà, annegate nell’alcool da un egocentrismo incapace di accettare il successo di una band per il merito dei suoi quattro componenti e non di uno solo. Il tessuto musicale di Bellini è composto da una trama geometrica che richiede sobrietà e precisione, arrangiato per valorizzare l’apporto minimale dei singoli strumenti attraverso i quali la voce intreccia le sue melodie ed i testi.
Ci dispiace per lui e non facciamo mai ironia su quanto accaduto; pensavamo avesse compreso il senso e la direzione di Bellini, attraverso “Snowing Sun” (del quale io ho scritto tutte le musiche e Giovanna tutte le melodie e testi); evidentemente non era così.


Dopo quel tour, immagino abbiate dovuto pensare se continuare o meno a fare musica a nome Bellini. L’ingresso di un nuovo batterista ha portato cambiamenti nel suono della band? Senza nulla togliere alla sezione ritmica, a me sembra che il fulcro di “Small stones” sia nella voce e nelle chitarre…

Nemmeno per un istante abbiamo cessato di essere Bellini (compositore di opere liriche nato a Catania e morto a Parigi); dopo l’abbandono di Damon abbiamo subito inserito Alexis, fatto alcune ore di prova e ripreso il tour, completato a New York insieme a Shellac.
L’ingresso di un nuovo batterista ha portato i cambiamenti che derivano dal carattere della persona e dal suo bagaglio di esperienze. Alexis è stato il batterista dei SoulSide e suona ancora con Girls Against Boys, quindi il suo apporto in Bellini è sintesi, minimalismo e potenza.
Che il fulcro di Small Stones sia nella voce e nella chitarra (una)………se è un complimento lo accetto e ti ringrazio, tuttavia Small Stones è concepito e strutturato, da me e Giovanna, come il racconto fatto da uno di quei cantastorie che un tempo animavano le piazze dei villaggi.

Due canzoni del disco, “Room number five” e “Raymond”, sono dedicate a due persone in particolare: è una domanda troppo personale se vi chiedo l’argomento di quelle canzoni, e che cosa le lega alle persone a cui sono state dedicate?

”Room Number Five” e “Raymond” sono la storia delle persone alle quali i brani sono dedicati.
Cettina, donna gioiosa e piena di vita, consumata dal cancro in meno di un mese e morta nella stanza numero cinque di un ospedale a Catania.
Raymond, in coma da tanti anni e tenuto in vita da apparati elettronici, scollegato e deceduto per esaurimento di fondi assistenziali in un ospedale del Texas (ricordate la storia di Terry Schiavo?)..


Spesso i vostri testi danno l’idea di rivolgersi a una figura maschile con cui c’è un forte conflitto: “Fuck the mobile phone”, “The buffalo song” e “Not any man” sembrano abbastanza esplicite… Da che cosa nascono le parole che canta Giovanna, cosa le ispira?

Ciò che a volte sembra così esplicito di fatto non lo è, soprattutto nei testi che Giovanna scrive, elabora e cura con scrupolosa meticolosità. Siamo poco allenati ad approfondire testi che richiedono tempo e passione, specialmente al giorno d’oggi, dove tutto si pretende concluso nello spazio temporale di trenta secondi, la durata di uno spot pubblicitario.
“Not any man”, ad esempio, è la storia di una donna, della sua cocciutaggine verso un desiderio impossibile che diventa lo scopo della vita; l’arroganza di sentirsi mediocri che diventa tenacia per continuare a vivere e sperare.

In “Smiling fear” cantate di un mondo esterno che fa sempre più paura. É un brano sui propri fantsmi privati, oppure può essere anche letto in chiave sociale/politica?

“Smiling Fear” è la voglia spensierata di ridere, soffocata e oppressa dalla pressione e dalla tensione alimentata da chi, oggi, ha capito come manipolare la paura degli esseri umani nel mondo.


Da molto si parla di un nuovo disco anche per gli Uzeda. Come mai quella band è rimasta “congelata” per tutto questo tempo? E che cosa avete provato quando avete partecipato dopo così tanto tempo all’ “All Tomorrow’s Parties” di un anno fa?

Il nuovo disco di Uzeda uscirà nel 2006 per Touch and Go; stiamo completando le composizioni che registreremo a Gennaio 2006 con Steve Albini.
Siamo nati nel 1987,e dopo tantissimi anni di carriera e più di 1500 concerti, sentivamo il bisogno di una pausa; e così due sono andati da una parte e due siamo andati da un’altra parte. Nel 2002, dopo tre anni di pausa, abbiamo ripreso le prove ed i concerti. Nel 2004 siamo stati ospiti in Inghilterra, oltre all’All Tomorrow’s Parties abbiamo fatto un tour con
Shellac, suonando a Londra, Camber sand, Parigi, Groningen, Amsterdam e Bruxelles.
Ovviamente,la nostra felicità era ai massimi livelli!!!!


Con gli Uzeda siete stati tra i primi gruppi italiani a cercare fortuna all’estero, e a trovare ottimi consensi. Come vi sembra adesso la situazione dell’indie italiano? Gruppi come i Jennifer Gentle o i Frankin Delano rimarranno isolati, o c’è qualcuno più pronto ad ascoltare quello che accade qui in Italia?

Dopo Uzeda, in ordine di tempo, ci sono i Three Second Kiss che a mio parere sono il miglior gruppo italiano in circolazione, anche se neanche di loro, come di Uzeda, si parla mai, né volentieri sui giornali, pur avendo una carriera musicale ricca e blasonata; 5 tour in America insieme a June of 44, Shipping News, Shellac, etc.etc, All Tomorrow’s Parties, 7 tour europei e centinaia di concerti nella penisola.
L’ indie italiano è in ottima salute, mi riferisco ai gruppi di indie rock, non a quelli che così si autodefiniscono, pur essendo a libro paga delle multinazionali e ormai satelliti della musica commerciale.


So che gli Uzeda sono stati l’unico gruppo italiano oltre alla PFM a partecipare alle celebri “Peel Sessions”. Che ricordo avete di John Peel, e che cosa disse a proposito della vostra musica?

Abbiamo fatto due Peel sessions alla BBC, ed una delle due è incisa su disco per esplicita richiesta di John Peel. Scoprì Uzeda attraverso “Waters” e passò il disco alla radio, ininterrottamente per tutto l’inverno, aumentando la nostra popolarità in Inghilterra e portando Waters al decimo posto nella classifica dei dischi indie pubblicata su Melody Maker.
John è stato il più grande speaker di rock della storia; serio e preparato giornalista musicale, grande talent scout (ha scoperto anche Siouxsie) e persona veramente umile.


Avete una band, gestite un’agenzia di booking e un negozio di dischi; la vostra vita è completamente dedicata alla musica, o almeno così sembra. C’è mai stato un momento in cui vi siete sentiti stanchi di tutto questo, o avete mai pensato che non valesse la pena di continuare?

La nostra vita è un occuparsi di tanti aspetti della musica indipendente e ci sentiamo molto fortunati di aver potuto scegliere il nostro cammino.
Anche nei momenti più difficili, non abbiamo mai smesso di credere in quello che facciamo; come musicisti e come esseri umani siamo molto fieri di essere quello che siamo.