ROYKSOPP, The Understanding (Astralwerks, 2005)

Il luogo comune dell’estate 2005 tra i commentatori giornalistico-musicali? Che l’ultimo album dei Röyksopp assomigli agli Air. Lo si è letto dappertutto, dal Corriere al Mucchio passando per Sentireascoltare, tutti concordi nel sottolineare con doppia riga che il duo norvegese ha sfornato un cd con un’affinità elettiva con la French Band. Nostro sommesso avviso: considerazione errata e da sfatare subito, a meno che non si voglia deludere in partenza chi si approccia a “The Understanding” – che è comunque un album godibile – facendogli presagire quello che “The Understanding” non è. E lo si dice anche e soprattutto per tutelare i fan degli Air.

A fronte (forse) di una volontà velata e lontana – comunque non riuscita – dei Röyksopp di suonare, in alcuni brani, latamente Air esistono troppe differenze oggettive. Primo: la mancanza della chitarra acustica, vero fulcro dello stile elettronico retrofuturista dei francesi, elemento che dona humus caldo e umanità alle note inevitabilmente fredde dei synth. Secondo: l’indole danzereccia dei Röyksopp, assolutamente mancante in Godin & Dunckel. Si badi bene, non un punto a sfavore, anzi. I Röyksopp riescono a coniugare bene anche in “The Understanding” una certa classe con i ritmi mutuati dalle disco (il che potrebbe sembrare una contraddizione in termini sol a pensare a come riesce ad essere vera spazzatura certa roba che si balla), come del resto hanno saputo fare anche i Notwist. Terzo: l’amore di Berge e Brundtland per il suono cool. Dove Dunckel avrebbe utilizzato un vecchio moog anni ’70, il duo più a nord risponde con la timbrica giusta che sembra uscita fuori da un singolo di Britney Spears (e nemmeno questa è una critica: con i produttori che si ritrova, Britney – a livello di suono – è comunque all’avanguardia in ciò che va adesso).

Sgombrato dunque il campo da questo scomodo parallelo con gli Air, ci si può finalmente concentrare sulle canzoni di “The Understanding”, che in fondo è ciò che bisogna recensire. Si scopre allora che la media è abbastanza alta, oddio, ci sono degli scivoloni madornali come la stucchevole “49 Percent”, da boy-band nera post-Michael Jackson, o la sempliciotta “Triumphant”, con una melodia portante da asilo e un suono di piano mutuato da tastierine Casio, ma nel complesso l’album regge e lo fa soprattutto dove i Röyksopp tornano all’imprinting del precedente “Melody A.M.” (“Only This Moment”, “Beautiful Day Without You”). Rispetto all’album del 2001 il cantato la fa da padrone, anche se quando il gruppo scandinavo esplora lo strumentale i risultati finiscono con l’essere maggiormente densi e pregni, vedi la scura “Sombre Detune”.

Il lato che più ci piace dei Röyksopp è però quello piacevolmente easy, etereo-malinconico, ammiccante e sognante allo stesso tempo, quello di “Follow My Ruin” (altro che Air, qui ci sono molti Daft Punk!) e “Someone Like Me”, oltre alla già ricordata “Beautiful Day Without You”. Si muove la testa a ritmo e con calma placidità la mente si svuota. Nella loro leggerezza: salvifici. E questo può bastare.

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