TEENAGE FANCLUB, Man-Made (PeMa / Audioglobe, 2005)

Giochiamo alle associazioni mentali. Se io dico “Scozia”, voi probabilmente rispondereste “pioggia”, “castelli”, “laghi”, “birra”, “grigio” e poi ancora “pioggia, pioggia, pioggia”. Avete ragione. Ma allora, come mai certe melodie arrivate da lassù hanno il calore, la luminosità e la bellezza di una giornata di sole? Come mai è impossibile non sorridere davanti ai semplici incanti dei Belle and Sebastian, o alla leggerezza perfetta delle canzoni dei Teenage Fanclub? Questo può significare solo due cose: o parlare delle band secondo la loro provenienza geografica non ha il minimo senso, oppure esistono gruppi capaci di immaginare il sole in una stanza anche quando tutto è grigio.

I Teenage Fanclub sono uno di questi pochi gruppi, e non importa che per realizzare questo “Man-made” – l’ottavo della loro storia – si siano spostati a Chicago alla corte di John Mc Entire (che non eccede in stranezze produttive, ma lavora di cesello sulle armonie in maniera favolosa): davanti alla grazia luminosa di “It’s all my mind”, a quel ritornello tanto magico e velenoso da ricordare i Byrds, non si può non rimanere folgorati, e non si può non allargare il volto in un sorriso. E il bello è che il resto del disco non è da meno, sebbene manchi il guizzo definitivo, quella canzone che ti faccia sobbalzare dalla sedia: “Time stops” si anima improvvisa, le chitarre si fanno più aggressive e la ritmica più sostenuta, ma tutto riesce a rimanere incredibilmente leggero, così come nei saltelli del basso di “Nowhere”, nei contrappunti jazz della chitarra in “Save” (suonata con lo stesso tocco sofisticato che appartiene a Geoff Farina dei Karate), o nel power-pop chitarristico, tra tastiere e una voce incredibilmente misurata, di “Slow fade” (una versione sorridente dei Dinosaur Jr.?).

“Man-made” scorre leggero, fluido: ci si può innamorare dei dettagli (i semplicissimi tocchi della mano destra sul pianoforte di “Only with you”, la chitarra acustica alla Neil Young di “Cells”, gli archi di “Flowing”), assaporare le melodie anche quando le canzoni si fanno insipide (“Feel”, “Fallen leaves”), far ondeggiare ritmicamente la testa sulla coda distorta di “Born under a good sign”…si può fare tutto questo, durante l’ascolto, senza stancarsi mai. Anche se, sul finale, lo schema tende a ripetersi un po’ troppo automatico, “Man-made” sa incantare: ha il suono di una giornata con il cielo blu e poche nuvole appese, ha la leggerezza accattivante del vestito di quella ragazza che avete guardato mentre tornavate a casa, questa sera. Ha il suono delle cose imperfette che vi rendono felici.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *