SUBSONICA, Terrestre (EMI Music, 2005)

“Abbiamo avuto un approccio più rock, ma non siamo mai completamente una rock band”, dichiara Max Casacci (chitarra), riassumendo così in poche parole spirito ed intenti del nuovo disco dei cinque torinesi, dati prima per dispersi tra i vari progetti paralleli, dopodiché rientrati in studio con l’accompagnamento di una polemica discografica che con la musica, quella da ascoltare, nulla ha a che fare.

Ed in effetti, quel che spicca dal primo ascolto è una particolare concentrazione sui ruoli ed i suoni dei singoli strumenti, perseguita attraverso una ricerca di perfezionamento formale, ma pure un’attenzione alla resa sonora. Basti pensare alla tastiera di “Ratto”: strumento elettronico per eccellenza, qui fa i conti con la volontà di utilizzare pianoforte elettrico e di eliminare l’utilizzo del sequencer, tanto caro alle opere passate.

Meno standardizzazione, per conseguenza, che salta alle orecchie in una traccia come “Gasoline”: sulfurea, ipnotica e criptica nelle parole, e non solo per l’esperimento anglofono dal sapore internazionale, si presenta così quale pezzo più accattivante dell’album. Senza dimenticare che, nel suo cuore, apre il panorama ad un complesso solo di batteria, commistione tra acustica ed elettronica, che si snoda sino a perdere il controllo del battito. Meno standardizzazione, ancora, nella cura per la registrazione di archi in presa diretta, operazione che va a sostituirsi ai normali, asettici, campionamenti.

Tuttavia, più in linea con la precedente produzione subsonica, è “Corpo a corpo”, quasi a ricordare l’album di debutto del gruppo, con una calda base reggae solcata da algidi innesti elettronici. Il tutto ad accompagnare un cantato ruvido tanto quanto il testo. Proprio per quanto riguarda le liriche, spunta nuovamente la collaborazione con l’amico Luca Ragagnin, tanto evidente nella “preghiera” “Serpi”. Eppure, il tributo dello scrittore non è l’unico presente: tra le melodie dell’album, Ale Bavo dei Sushi, al suo debutto in un lavoro ufficiale con i concittadini, e Dave Pemperton al mixer, già ben noto per i suoi influssi su Groove Armada, Orbital e Prodigy.

Comunque sia, il manifesto della voglia d’elettrico e di creare sfumature di genere, desiderio che permea l’intero progetto, pare essere l’ouverture dell’album al mercato, “Abitudine”. Questa giunta in radio, non a caso, dopo il già citato periodo di pausa: “crisi e rigenerazione”, per dirla come lo stesso Boosta (tastiere). Mutamento peraltro avvertibile nelle tracce più melodiche del disco, quale è “Incantevole”, una ballad fiorita su di un sottofondo che, se ambient non è propriamente, rimanda tuttavia ad un pezzo come “Subterranean Homesick Alien” dei Radiohead.

Così, mentre le ultime tracce del disco appaiono sempre più segnate dalla presenza del synth, in un improvviso spostamento del baricentro verso note elettroniche, l’orizzonte si spalanca sulla strumentale “Terrestre”: rumori impercettibili, costruzioni sonore meticolose, suoni in collage da musique concrète. Su quest’onda, improvvisazione e concretezza, snodati in rimandi al passato della musica ed al passato del gruppo stresso, danno origine ad un disco sicuramente curato nella forma, forse troppo prolisso nella durata, ma che racchiude i semi della doppia anima della band. Elettricità ed elettronica, con una volontà in più: più rock, più materialità. Più suonato. E più terrestre.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *