KAISER CHIEFS, Employment (B-Unique, 2005)

Kaiser Chiefs è una squadra di calcio sudafricana: qui è cresciuto sportivamente Lucas Radebe, bandiera e capitano del Leeds, compagine attualmente militante nella First Division (la serie B inglese) ma protagonista poco più di dieci anni fa di uno scudetto capolavoro grazie alle magie di Eric Cantona.

Questo preambolo agonistico serve a introdurre la band di Ricky Wilson, nuovi wonderful boys del panorama pop britannico. Quando oramai non dovrebbe aver veramente più senso ecco rispuntare fuori l’odioso appellativo “brit-pop”: fortunatamente i cinque ragazzi non sembrano intenzionati a clonare il narcisismo piatto degli Oasis, interessandosi più che altro a un art-pop dal piglio fortemente provocatorio e ironico. Basta prendere ad esempio il brano cardine dell’intero album: “I Predict a Riot” presenta una ritmica convulsa attraversata da chitarre liquide cariche di riverbero ed esplode in un ritornello che definire trascinante è poco. Un vero e proprio inno di battaglia, orchestrato in maniera eccellente – le sferzanti pugnalate inferte dalle tastiere di Nick Baines – che riporta alla mente più la New Wave dura e pura che il decennio successivo.

Qualora fosse necessario trovare paragoni nella musica britannica degli anni novanta verrebbe naturale identificare “Employment” in una sorta di “Different Class” del nuovo millennio. Senza ovviamente voler caricare sulle spalle della giovane band un paragone troppo pesante è innegabile come la cavalcata istrionica e vagamente dandy “Everyday I Love You Less and Less” rimandi direttamente al capolavoro licenziato giusto dieci anni fa dai Pulp: in effetti al di là della facile classificazione all’interno dell’universo pop l’attitudine dei Kaiser Chiefs sembra improntata a un recupero dell’universo melodico post-Wave. Niente di particolarmente nuovo sotto il sole, c’è da dire, e se non fosse per architetture perfettamente alla Blur come “Modern Way”, saremmo di fronte all’ennesimo gruppo facente parte della new wave of new wave (tralasciando il ridicolo appellativo).

La band di Leeds trova il suo punto di forza proprio in questo ibridismo soffuso e sotterraneo, teso al mescolamento di elementi ossessivi con un gusto per la melodia non indifferente: si spazia dunque dall’assalto all’arma bianca intriso di mordace ironia (“Na Na Na Na Naa”) alla ballata grondante romanticismo (“You Can Have It All”), dalla progressione omicida di “Oh My God” all’urlo tra glam ed ectoplasmi rockabilly di “Saturday Night”. “Time Honoured Tradition” sembra voler ripercorrere i fasti semisconosciuti della Bonzo Dog Band rivestendoli di una coperta elettrica disturbante mentre l’album fa a riposarsi nella cullante percussione adagiata sull’organo di “Team Mate”.

Se il successo di pubblico sembra aver già ampiamente premiato gli sforzi del quintetto – perlomeno nella perfida Albione – appare doveroso rimarcare come questi non siano stati riposti ciecamente ma, anzi, a ragion veduta: i Kaiser Chiefs rischiano sul serio di aver sfornato il “Different Class” del nuovo millennio, con i dovuti distinguo – permane la sensazione di un’acerbità sempre sul punto di farsi notare e fortunatamente perennemente ricacciata indietro. E all’esordio questa non è certo cosa da poco. La chiusura è dedicata agli amanti dei paragoni: non è notizia fresca che la band si sia trovata ad aprire vari concerti dei Franz Ferdinand… bè, se ora come ora dovessimo scegliere un nome tra i due per cui prevedere un radioso futuro verrebbe naturale scegliere questi cinque ragazzi di Leeds idolatri del mito di Radebe.

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