DOVES, Some Cities (Heavenly / EMI, 2005)

Che ai Doves piacessero i chiaroscuri lo si era intuito fin da quel piccolo capolavoro che è il loro album d’esordio “Lost Souls”, ma con “The Last Broadcast” avevano aumentato le tonalità, aggiunto qualche colore – non tanti, a dir la verità – alle trame malinconiche del primo lavoro, e avevano iniziato a sperimentare pur nell’ambito della loro essenzialità melodica.

Con “Some Cities” tornano all’ovile del bianco e nero. Fin dalla copertina: i Doves devono essere l’unico gruppo ad avere il booklet completamente in bianco e nero di tre album su quattro (se consideriamo anche la raccolta di b-side “Lost Sides”, l’unico con tenui bagliori di giallo è proprio il diverso anche dal punto di vista musicale “The Last Broadcast”, tutti gli altri sono completamente scevri di colori). E anche dal titolo del singolo, “Black And White Town”, dedicata alla loro Manchester che hanno visto cambiare e incattivirsi come mostrano le immagini di deriva urbana semiadolescenziale del video. Un pezzo con un bel piano definito e riconoscibile (ma con il più brutto assolo di chitarra apparso in una canzone da un paio d’anni a questa parte), che fa capire il ritorno al passato dei Doves grazie a quei suoni spettrali di sottofondo con riverbero large hall già usati in canzoni come “Firesuite” o “Here It Comes”.

Il ritornello di “Almost Forgot Myself” è invece un puro cioccolatino di dolcezza musicale sognante e suadente, mentre le atmosfere anni ‘30/’40 di “The Storm” (contenente campioni tratti da “Snake Eyes Score” di Ryuichi Sakamoto) e “Shadows Of Salford” si legano indissolubilmente al lavoro iniziato dai Doves con “M62 Song”, e che più propriamente continua l’opera di riscoperta di tali sonorità che anche i Radiohead hanno intrapreso con “You And Whose Army?”.
C’è, a dire il vero, anche qualche fessura di luce nel crepuscolo di “Some Cities”: il brit-rock del pezzo che dà il titolo all’album e le piccole reminescenze U2 di “Walk In Fire” (la vicinanza dei Doves con Bono e soci, minima su cd, emerge in maniera prepotente dal vivo a causa del guitar-style di Jez Williams, simile a tratti a quello di The Edge soprattutto per i suoni e per il massiccio uso del delay). Ma è quando i Doves tornano compiutamente sul luogo del delitto del loro debut-lp che riescono davvero ad uccidere gli altri riferimenti e ad essere semplicemente loro: “One Of These Day” è puro Doves-style, e non dite per piacere che c’è un po’ di Coldplay in quel pezzo perché forse bisognerebbe dire il contrario.

Insomma, dopo aver cercato di cambiare qualcosa nelle loro timbriche, i Doves hanno forse capito che si erano ritagliati un posto privilegiato nella musica inglese per via di quello che avevano subito dimostrato all’inizio della carriera. “Some Cities” non avrà forse la qualità delle canzoni di “Lost Souls”, ma è comunque un album piacevole e riuscito. Non rivoluzionario, ma del resto abbiamo da tempo riposto nel cassetto più in alto gli entusiasmi che suscitano i capolavori musicali: si tirano fuori solo per le grandi occasioni. “Some Cities” non sarà la festa di laurea, ma è una gran bella serata a guardare le stelle (e con chi ognuno ci metta chi vuole!).

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