BROKEN SOCIAL SCENE, You Forgot It In People (Arts & Crafts, 2003)

Sapete come succede con certi dischi. Li cercate invano per mesi fino a che vi sembrano fantasmi. Ne leggete un mucchio di elogi e di critiche entusiastiche e più cresce la curiosità più il disco sembra irraggiungibile. E così quando, magari per caso, riuscite a scovare quell’album cercato così a lungo, lo accostate con timore, quasi temete di rimanere delusi. Certo, quando un disco è davvero grande come “You Forgot It in People”, allora resta solo l’entusiasmo di fronte ad un tale incanto.

Le voci a proposito di “You Forgot It in People” iniziano a diffondersi nei primi mesi dello scorso anno quando i Broken Social Scene, un collettivo di musicisti di Toronto, pubblicano il disco in Canada e negli Stati Uniti. Ci vuole un anno perché venga distribuito in Italia, e ai più sfortunati ci è voluto ancora di più per procurarselo. Ma l’attesa è ripagata, perché i Broken Social Scene riescono in un’ora scarsa di musica a riprendere le fila dell’indie rock americano del passato recente, dai Sonic Youth ai Dinosaur Jr innanzitutto, coniugandola con la vocazione agli esperimenti e ai suoni stratificati dei My Bloody Valentine di Kevin Shields e a certe atmosfere suadenti dei primi avventurosi dischi di post rock.

Così “You Forgot it in People” affiora dai suoni rarefatti di un frammento strumentale intitolato “Capture the Flag”, per poi precipitare per le chitarre sferraglianti di “KC Accidental”. Forse la dote più stupefacente di questo strano gruppo chiamato Broken Social Scene è riuscire ad incidere un disco così pieno di contrasti mantenendo comunque un’unità di fondo.

Così bravi a raccogliere l’eredità dei Sonic Youth più attenti alle melodie, “Stars and Sons” e “Cause=Time”, entrambi eccellenti, per poi offrire come contraltare le note eteree di “Late Nineties Bedroom Rock for the Missionaries” e ” Looks Just Like the Sun”, in cui affiorano sfumature vocali che profumano perfino di soul. Senza dimenticare strumentali sognanti di scuola Yo La Tengo, “Pacific Theme”, e poi la filastrocca intitolata “Anthems for a Seventeen Year-Old Girl”, appoggiata su un tappeto di archi e su un crescendo irresistibile.

Soprattutto il gruppo canadese possiede una scrittura che sa illuminarsi in modo inatteso. Prima in un brano pieno di adrenalina e di chitarre di grande impatto come “Almost Crimes”, poi in una splendida ballata eterea come “Lover’s Split”. Fino ad arrivare ad una grande canzone come “I’ Still Your Fag”, tra folk e jazz seguendo le orme di Nick Drake. Tutto questo tenuto insieme in tredici episodi incantevoli. Un lunga attesa ripagata.

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