MASSIMO ZAMBONI, Sorella sconfitta (Radiofandango / Warner Music Italy, 2004)

Ci sono pochi artisti su cui l’appassionato vorrebbe sospendere ogni giudizio critico, e adorare incondizionatamente tutto. I componenti dei C.S.I., per chi scrive, sono tra questi. Si vorrebbe adorare tutto. Non sempre vi si riesce. Se Ferretti e i P.G.R. rallentano il passo, ma affondano per palese incapacità e fastidio per la leggerezza, Zamboni, perenne uomo ombra (ma questo disco aiuta a capire quanto in realtà fosse importante), rimane fedele alla poetica cruda dei suoi scritti, e alla sua chitarra sferzante.

Si dà un obiettivo alto, enorme: cantare la sconfitta e la sua accettazione, mostrare il dolore e accoglierlo francescanamente come parte integrante della vita. Un compito tutt’altro che leggero, dal quale Zamboni esce regalando un disco meraviglioso. Rimane nell’ombra, e affida le sue parole alle donne, da sempre molto più consapevoli dell’uomo della portata del dolore: Lalli lo canta con incredibile partecipazione, scavando nella sua anima e dandola in pasto alla musica (nelle splendide “Sorella sconfitta” e “Dolorama” su tutte), Nada lo affronta ora con animalesca furia (“Su di giri”), ora con angoscioso trasporto (“Miccia prende fuoco”).

Gli interventi lirici di Marina Parente sono un esperimento straniante ma riuscito, sia che la sua voce si intrecci a inserti elettronici pulsanti (“Ultimo volo America”), sia che si fonda alle chitarre e al canto di Lalli (“Schiava dell’aria”). Voci forti e forti personalità, che rimangono sospese tra intensità e luogo comune e riescono come per incanto a comunicarti tutto quello che hanno dentro, a commuoverti; ricordo un solo precedente, e non musicale, che mi abbia fatto lo stesso effetto: “Parla con lei” di Almodovàr. Equilibri impossibili, eppure raggiunti. Sono in pochi a riuscirci.

Dopo tanto dolore, tocca a Fiamma cantare il turno della vita, “la neve che cancella in nero”; preghiere pagane, speranze, sorrisi, luce che torna a splendere: accade in “Kral” (memore degli Üstmamò più lievi) e soprattutto nella magnifica estasi di “Pied beauty”. Non sono canzoni per tutti i giorni, queste: c’è, pur nella loro imperfezione, una profondità realmente rara, preziosa; hanno un suono denso, di quelli che sanno dipingere un mondo solo con un piccolo tratto; hanno tutto quello per cui, da ragazzino, mi sono innamorato di questa musica. Sono grato a chi ha saputo ricordarmi tutto questo.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *